Fuori c’è la macchina blu di nonno. Che paura quella volta, poi ho guidato io. Dopo gli 80 anni meglio lasciare perdere. Ma nonno non mollava mai, neanche sul lavoro.
Poi stava lì a capotavola. E aspettava tutti. La tavola lunga, ‘Mangia, assaggia’, poi i racconti. E il tempo che non esiste più.
Su quella tavola ogni volta c’era di tutto, e tutto rassicurante: pasta, polpette, pollo cotto nello stesso sugo del pentolone pronto a salutarti al tuo ingresso. E poi viavai di cugini-amici-parenti. E nonno lì a capotavola. Il nonno sta lì. La tavola si moltiplica di ogni bendidio. Se fa caldo è il back yard, ma non cambia. Arriva l’ospite. Si fa da mangiare. Se il vino manca basta scendere sotto. Apri il rubinetto della botte e riempi di bianco o rosso, tutto fatto in casa. E i peperoni ripieni? Mio cognato Iwan non ha visto le torri gemelle (dall’alto), ma ha partecipato alla produzione annuale di peperoni ripieni da mettere poi sotto aceto e vino e mangiare tutto l’anno. Non vorrei azzardare, ma se ora è così bravo a cucinare qualcosa c’entra.
Cibo. New York è cibo. Tanto. Di tutti i tipi. Ho assaggiato di tutto. A parte italian style, Cina, Giappone, India, Lousiana (spettacolo della natura), Pakistan, Grecia (un party in famiglia: avete presente il mio grosso grasso matrimonio greco?), Amish (pollo divino, granturco da urlo e poi quelle torte di Nonna Papera che strabordano mirtilli). E l’hamburger, l’hot dog, il pollo fritto, turkey sandwich, bistecca a Filadelfia, cheese cake alle 3 del mattino. E clams, big big clams. Poi arriva il cameriere e chiede se con il caffè vuoi il limone e scappa il moto di rabbia. Ma poi il mattino dopo vai a fare colazione e ordini pancakes, waffles oppure uova strapazzate (scrambled eggs), salsiccia e bacon con french toast. Oppure caffè e donuts.
Ora un minuto di silenzio per sua maestà il tacchino ripieno. Mi è stato concesso fuori Ringraziamento in tutta la sua magnificenza dei contorni: funghi ripieni, zucca e mille altre cose come se da solo non fosse sufficiente. Nel momento in cui ti siedi a tavola capisci che si tratta di un rito al limite del sacro. E non lo dimentichi più.
Potrei andare avanti per ore, ma risparmio il vostro fegato e la vostra acquolina. Lasciatemi una parola però perché un errore l’ho commesso, ma non era di saggezza, anzi. Infilatomi da Sbarro ordino una pasta nei pressi della Biblioteca. Mezzo boccone. E via.
Per espiare il mio peccato quando Ilaria e Matteo chiedono la coccola la domenica mattina preparo i pancakes. Lo sciroppo d’acero è sempre lì pronto. Nel pomeriggio gli darei anche un magnifico banana split: ma non sono proprio capace.
Un saluto caro ai vostri succhi gastrici.
di Lino Vuotto