Si studia ancora la mitologia, a scuola? Io la studiavo e aspettavo quell’ora – una soltanto, a spezzare la grammatica, le coniugazioni, le declinazioni – con impazienza. Aveva la forza di portarmi altrove. Di farmi riflettere, come poche altre materie, sui grandi concetti. Perché in fondo mi sono sempre piaciute le fiabe.
Tra i vari miti, almeno un paio mi avvinsero completamente. La storia di Aracne e poi quella di Eos e Titone. Eos è l’Aurora. Una donna passionale, luminosa, che conquista Zeus e poi Ares, scatenando le ire di Afrodite. Afrodite si vendica e la condanna a innamorarsi sempre di comuni mortali. Fra di essi c’è Titone, un giovane bellissimo, che la dea rapisce chiedendo poi a Zeus che gli conceda il dono dell’immortalità. Però dimentica una cosa importante, nella sua richiesta, l’eterna giovinezza. Così Titone inizia a invecchiare, a farsi decrepito, a incartapecorirsi, finché mossa a pietà Eos lo trasforma in cicala. È un preambolo lungo, me ne rendo conto. Però quando ho letto Le intermittenze della morte di José Saramago è lì che sono andata a parare.
Lo spunto di questo libro, a 10 anni dalla sua pubblicazione, è meraviglioso e geniale, e – se vogliamo – è tutto compreso nella primissima pagina. «Il giorno seguente non morì nessuno. Il fatto, poiché assolutamente contrario alle norme della vita, causò negli spiriti un enorme turbamento, cosa del tutto giustificata, ci basterà ricordare che non si riscontrava notizia nei quaranta volumi della storia universale, sia pur che si trattasse di un solo caso per campione, che fosse mai occorso un fenomeno simile, che trascorresse un giorno intero, con tutte le sue prodighe ventiquattr’ore, fra diurne e notturne, mattutine e vespertine, senza che fosse intervenuto un decesso per malattia, una caduta mortale, un suicidio condotto a buon fine, niente di niente, zero spaccato». La morte ha smesso di agire, si è chiamata fuori e Saramago, che è un campione nella descrizione di situazioni paradossali – come non pensare a Cecità? – costruisce l’intera impalcatura narrativa sul paradosso. Il paese è nel caos. In particolare, alcune categorie sono nel panico. Le pompe funebri, private del loro lavoro; gli ospizi e gli ospedali, sovraccarichi; le compagnie di assicurazione, completamente disorientate sul da farsi; i religiosi, costretti a rivedere millenni e secoli di dogmi. E intere famiglie disgregate intorno al nonno che non muore, al malato che non se ne va. Un sacco di Titoni ovunque. L’autore c’induce a riflettere su un tema importantissimo: abbiamo paura di morire, desideriamo l’immortalità, qui e ora. Eppure, la morte è un passaggio necessario e indispensabile nel ciclo della vita, e del mondo.
Questo magnifico romanzo, però, non si ferma qui. E sono altri due gli elementi che mi piace evidenziare. Il primo, è che a un certo punto la morte torna a farsi viva. Fa consegnare una lettera in cui dichiara le proprie future intenzioni. E in questi passaggi Saramago scatena tutta la propria ironia. «Tutti i giornali, senza eccezione, pubblicavano in prima pagina il manoscritto della morte, ma uno, per rendere più facile la lettura, riprodusse il testo in caratteri corpo quattordici e in un riquadro, ne corresse la punteggiatura e la sintassi, sistemò le coniugazioni verbali, mise le maiuscole dove mancavano, senza dimenticare la firma finale, che passò da morte a Morte, una differenza non apprezzabile all’udito, ma che provocherà quel giorno stesso un’indignata protesta dell’autrice della missiva, sempre per iscritto e sulla stessa carta di colore viola». Cioè, tu osi correggere ciò che scrive la morte? Sei così folle da farlo? Bravo, perché noi lettori rideremo tantissimo nel leggere di questa tua folle impresa, come rideremo delle scenette di vita quotidiana tra la morte e la falce, o nel vedere come le pompe funebri abbiano deciso di far fronte alla loro lunga impasse lavorativa. Nonostante il tema trattato, questo libro è un susseguirsi di scene comiche e spassosissime, utili a rendere ancor più profonda la nostra riflessione.
Non ultimo, ho amato tantissimo il momento in cui la morte non riesce a raggiungere con le proprie lettere un violoncellista, che misteriosamente sopravvive al proprio destino. E il momento in cui lei si trasforma e assume sembianze umane per effettuare personalmente la consegna. Voi lo sapete, vero, che la morte è donna e per di più bellissima? Ecco, Saramago ci toglie ogni dubbio in proposito. «… non lasciavano alcun dubbio che la morte, qualora finalmente si incontrasse, sarebbe stata una donna sui trentasei anni di età e bella come poche». L’incontro fra la morte e il violoncellista spazza via tutto il resto. Non stiamo più parlando di ciclicità della vita, di necessità della morte, dei problemi delle pompe funebri, del dolore per un proprio caro che se ne va. Stiamo parlando di attrazione, mistero, corteggiamento, insicurezza di fronte a un qualcosa che potrebbe iniziare. Chimica e amore. E stiamo lì, rapiti, per capire come possa evolvere una vicenda che è partita assurda, è diventata ironica ed è finita sublime. Come sono sublimi la morte e il suo violoncellista, fino all’ultima pagina.
Un libro da leggere per la prima volta. O da riprendere dopo 10 anni. Peccato per le maiuscole che saltano, per la punteggiatura poco coerente. Ma alla fine mi dico: e se per una volta non fosse un difetto dell’edizione? Se Saramago avesse imitato la scrittura, sgrammaticata della morte. O, ancora, se avesse scritto sotto dettatura?
Per illustrare una fiaba fatta di morte e sensualità ho scelto le donne di Saturno Buttò, sensuali come poche altre, avvolte da colori caldi e barocchi.
Le intermittenze della morte
Feltrinelli, 2005
Un paese senza nome, 31 dicembre, scocca la mezzanotte. E arriva l’eternità, nella forma più semplice e quindi più inaspettata: nessuno muore più. La gioia è grande, la massima angoscia dell’umanità sembra sgominata per sempre. Ma non è tutto così semplice: chi sulla morte faceva affari per esempio perde la sua fonte di reddito. E cosa ne sarà della chiesa, ora che non c’è più uno spauracchio e non serve più nessuna resurrezione? I problemi, come si vede, sono tanti e complessi. Ma la morte, con fattezze di donna, segue i suoi imprendibili ragionamenti: dopo sette mesi annuncia, con una lettera scritta a mano, affidata a una busta viola e diretta ai media, che sta per riprendere il suo usuale lavoro, fedele all’impegno di rinnovamento dell’umanità che la vede da sempre protagonista. Da lì in poi le lettere viola partono con cadenza regolare e raggiungono i loro sfortunati (o fortunati?) destinatari, che tornano a morire come si conviene. Ma un violoncellista, dopo che la lettera a lui indirizzata è stata rinviata al mittente per tre volte, costringe la morte a bussare alla sua porta per consegnarla di persona.