Quelle strane icone sullo schermo di Mauro De Carli

Creato il 10 febbraio 2019 da Manuelgaruffi
inizio del teatro immaginifico metatestuale sul gran spsettacolo di de carli mauro (frammento di una conversazione via Whatsapp)

Non è un caso che la produzione di Mauro De Carli sia esposta in questo inusuale quanto interessantissimo spazio espositivo, il Museo dell’Arte in Ostaggio e delle grafiche visionarie.

Come non è casuale che il titolo scelto per la mostra sia ESSERECONTINUOPRESENTE.

L’edificio seicentesco che ospita una produzione in buona parte inedita di De Carli è  infatti un simulacro in pietra e legno di opere d’arte consegnate alla storia ma scomparse.

Esistono ma non ci sono:1.651 opere “ancora prigioniere di Guerra” trafugate in gran parte dai nazisti durante l’ultimo conflitto mondiale, tuttora introvabili, fra cui la prima opera in marmo di Michelangelo, Testa di fauno, rubata dai nazisti della 305a divisione di fanteria dal castello di Poppi nell’agosto 1944.

ESSERECONTINUOPRESENTE denota quindi un’accezione estesa del concetto di temporalità, strettamente connessa con l’“esserci” dell’opera d’arte, che non è presente fisicamente ma lo è attraverso il ricordo e l’immagine (la relativa testimonianza storica) per esser fruita dall’osservatore: l’immagine vive nella mente e nella memoria.

De Carli allora, in questa mostra, in questo luogo, ci prospetta un ricorso alternativo all’iconografia consegnataci dalla storia dell’arte.

Prendiamo come rimando espicativo il grande dittico intitolato Houston NON abbiamo un problema: contiene svariate e piuttosto familiari “citazioni” (si capirà il senso del virgolettato), come la Pietà Rondanini, il fauno, Nicodemo et cetera, che in realtà non sono vere e proprie citazioni, nè giustapposizioni figurative di “icone” illustrissime, bensì qualcosa di assimilabile idealmente a pittogrammi che sono pietre miliari, supporti immaginifici al riconoscimento, come icone del desktop (dove il desktop è la superficie stessa su cui si sviluppa l’opera), ognuna con la sua storia. Che è, anche, parte della grande storia dell’arte.

Del resto, siamo o non siamo nell’epoca contrassegnata dalla comunicazione superficiale, ammorbata dalle famigerate fake news, quelle che in era pre-internet si chiamavano bufale? Siamo o non siamo nel vuoto pneumatico della conoscenza, “nella notte in cui tutte le vacche sono nere” -per citare il filosofo tedesco Hegel, ultimo degli Illuministi e primo dei Romantici?

Ecco allora che l’osservatore entra in queste immagini come fossero vuoti riempiti da presenze, i proprietari assenti di quelle stesse immagini, le opere che esistono ma non ci sono.

Sia chiaro: non è solo un tributo alle “opere in ostaggio”. Come si è detto, non si tratta di citazionismo, perché la produzione di De Carli è evocativa, cioè artistica (l’opera d’arte simbolizza, evoca, non indica, sennò sarebbe un segnale stradale): vi sono elementi noti che rimandano alla storia dell’arte e altri che invece denotano un universo di discorso privato, che sopravviene come una “sovraesperienza” rispetto alla storia dell’arte. Che è un po’ la stessa cosa della realtà aumentata di oggi, con la differenza che in questo caso il potenziamento ontologico è molto creativo.

Del resto, Mauro De Carli è anche l’autore di un recentissimo libro di storia dell’arte (Instant Arte. Il libro che rende facile capire l’arte, la sua storia e i suoi capolavori), la lettura del quale è come la visita a una mostra d’arte contemporanea curata da un artista: fatta da chi fa e, quindi, sa, sia pure in maniera, appunto, alternativa e creativa.

Qui in mostra abbiamo allora, fortemente voluta, la realizzazione della pittura più semplice del mondo, dove le “icone” non sono mai troppo espressive, troppo indessicali, troppo indicative. E dove, in un certo senso, l’opera non è più tanto una finestra sul mondo, ma quello schermo su cui lo sguardo si muove, a fronte di un mondo, quello in cui viviamo, dove si affastella una molteplicità di stimoli.

Ma c’è una seconda ragione per cui ESSERECONTINUOPRESENTE si inserisce a pieno in questo contesto espositivo ed è la visionarietà, strettamente connessa con le otto linoleumgrafie in mostra. Anche in questo caso siamo al cospetto di un chiaro riferimento storico, nella fattispecie nelle 82 incisioni dedicati ai disastri della guerra  – Los desastres de la guerra – di Francisco Goya e in particolare Yo lo vi  (“Io l’ho visto”).  Le incisioni di De Carli non sono idealizzazioni e nemmeno semplici visualizzazioni: qui il riferimento al dektop non ha più ragion d’essere, non siamo più al livello rappresentativo di immagini in RGB, il modello di colori Rosso (Red), Verde (Green) e Blu (Blue) nei dispositivi elettronici, ma al grado di visualizzazione della comunicazione binaria del bianco e nero, basato su di una forte visionarietà delle problematiche contemporanee, che sono (anche) i disastri della guerra, ma soprattutto, in una visione più circoscritta, le problematiche contemporanee della cronaca (l’Unione Europea, il lavoro, Trump), cioè i disastri visti in una situazione di non-guerra (anche se non mancano i riferimenti alla nuova forma del terrorismo internazionale con la raffigurazione tristemente celebre degl’incappucciati dell’ISIS) e gli elementi della cultura contemporanea, a loro modo icone, come il famoso “dito” di Cattelan a Piazza Affari a Milano.

ESSERE CONTINUO PRESENTE è quindi una scorribanda nel lascito iconografico della storia dell’arte, dove l’immagine, che definisce la modernità (questa famosa “civiltà dell’immagine”), paradossalmente vive nella memoria – sua e nostra.

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