Non ho mai voluto essere “quella che resta”…
Io ho sempre preferito essere “quella che se ne va”… Facile no? Faccio i bagagli, pago i conti con la responsabilità di lasciare cosa e chi, un bel respiro profondo e via, me ne vado…Ma…
Quanto costa stare dall’altra parte? Quanto costa restare?
A partire dal non riuscire a spiegarsi il perché qualcuno ha deciso di cambiare città, paese o continente.
“Perché se ne va?”
“Noi non siamo abbastanza?”
“Qui non è felice?”
Una serie interminabile di domande che martellano il cervello e una fatica smisurata per ascoltare quelle risposte che forse soddisfano la testa ma sicuramente appesantiscono il cuore…
E quanti silenzi successivi con gli occhi che fingono quella comprensione che dentro ancora tarda ad arrivare, se mai arriverà…
E poi, dopo una decisione ingoiata di traverso, inizia quel periodo in cui ci si sforza per sorridere ed essere felici per l’altrui felicità…
“Ti aiuto a fare la lista delle cose che ti servono?”
“Vuoi che controllo il meteo lì dove vai?”
“Devi portarti delle medicine?”
“Ti accompagno a rinnovare il passaporto?” e altre mille attenzioni premurose per far sentire la propria presenza e il proprio appoggio a chi se ne va e per far venire una bella gastrite a chi resta… perché a forza di stirare le labbra in sorrisi e di trattenere le lacrime deglutendo a ripetizione e tenendo gli occhi ben saldi sull’obiettivo, cercando di non sbattere neanche le ciglia, si finisce con quei mal di stomaco o di testa che si è liberi di patire solo una volta che chi se ne va ha girato l’angolo…
Si avvicina il giorno di questa partenza, attesa con lo stesso entusiasmo di quando si sta nella sala d’attesa del dentista e quei pochi giorni precedenti si da il via a uscite, cene e party per condividere IN ALLEGRIA la nuova esperienza alle porte. Risate, vino rosso, brindisi e tanti auguri a chi se ne va…
E a chi resta? Chi glieli fa gli auguri a chi resta? Chi gli si affianca per augurargli di superare al meglio il periodo di telefonate su skype dove, anche li, ebbene si, anche li, bisognerà simulare una sfilza di “Tutto bene, stiamo tutti bene“; chi gli darà supporto durante quei “Scusate ora non posso devo…“, “Sarebbe meglio sentirci domani perché ora…” , chi stapperà del vino rosso per il loro coraggio di restare?
Perché non si tratta solamente di restare bensì di restare e aiutare da lontano, restare e continuare con le proprie vite, alle cui difficoltà ora si aggiunge un vuoto da sopportare, restare e combattere per non dimostrare che si sta combattendo, restare e aspettare…
E così, mentre avanza il countdown, va avanti questa messa in scena rotta solo da alcuni momenti in cui la tristezza e il nervosismo riescono a farsi strada tra i vari muri costruiti a fatica da muratori stanchi e straripano fuori sotto forma di pianti o frasi malinconiche, di cui subito ci si pente, non sia mai che chi parte si senta in colpa…
Ed ecco la fatidica frase che non si vorrebbe mai ascoltare e che puntualmente arriva: “Mi accompagni in aeroporto?Per me è importante“.
“COSA??? No, no e poi no! Dopo tutto lo sforzo di questi giorni dovrei andare dallo psicologo altro che in aeroporto dove dovrò sopportare anche l’ultima immagine della tua manina che fa ciao ciao mentre ti allontani e chissà quando torni!!Per te è importante?? E chi se ne frega! Per me è importante conservare quel briciolo di salute che mi è rimasta dopo le fatiche di Ercole che ho dovuto affrontare per sopportare te e la tua partenza che lo sai dove te la puoi mettere???”.
Questo è ciò che si pensa e che, per qualche ragione sconosciuta, si traduce in un balbuziente “Si certo, ovviamente ti accompagno, è importante anche per me” il tutto condito da un abbraccio che vorrebbe essere uno strangolamento in stile boa.
Ed eccoci in aeroporto dove, oltre al peso delle valigie che “Dai su, dai a me che ti aiuto“, ci si carica di una sensazione tipica di aeroporti, stazioni ferroviarie, degli autobus, porti o altri luoghi classici di addio e arrivederci… E’ un senso di chiusura, di oppressione che ti fa arrivare a sperare che il tempo passi più velocemente possibile…Perché quelle lancette vanno così lente? Perché l’imbarco non inizia prima? Insomma, quando te ne vai?? Si, sembra assurdo, ma quando devi salutare una persona che ami lo vuoi fare il più in fretta possibile, non vuoi perdere tempo, non sai quanto resisterai, non puoi prevedere quando quella carrozza luccicante che hai creato per sostenere chi se ne sta andando si trasformerà nella zucca che in realtà è. E anche se sono gli ultimi istanti che passerai con quella persona non ci vuoi proprio stare lì, te ne vuoi andare…E’ già, perché non siamo liberi di scappare dall’aeroporto anche noi? Noi che restiamo? Perché dobbiamo rimanere fino all’ultimo a sorridere imbalsamati con gli occhi vuoti stile Nightmare Before Christmas e il cuore congelato in attesa di liberarsi da quello che più che un decollo sembra una decapitazione??
Se n’è andata/o? Grazie al cielo! Così si esce a passo svelto dall’aeroporto con lo sguardo a terra perché ovunque uno si giri vede solo volti tristi laddove chi parte vede solo volti allegri, ci si siede in macchina e si è finalmente liberi di mostrare, almeno a se stessi, l’altra faccia dell’amore, quella che non vuole essere lasciata, quella che non vuole rimanere sola, quella che non vuole restare…
A chi mi dice che l’amore non esiste io dico allora di andare in aeroporto e di osservare bene le persone dai sorrisi smaglianti. No, non quelle che se ne vanno i cui sorrisi sono solo brillanti, io dico quelle che restano, i cui sorrisi devono essere più grandi, più forti, più radiosi, giusto per quei pochi minuti, giusto il tempo che qualcun’altro passi il controllo bagagli e se ne vada, confortato da quel sorriso incredibilmente bello che ha ricevuto all’ultimo. Guardate loro, che un attimo dopo abbassano le spalle e la testa, non più super eroi, ma semplici esseri umani che hanno compiuto ancora una volta la loro missione impossibile: amare qualcuno più di se stessi. Guardate loro e ditemi ancora che l’amore non esiste.
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