'Quelli che restano - stati d'animo del paesaggio contemporaneo' a cura di Mimmo di Marzio

Creato il 18 novembre 2011 da Roberto Milani
 
'Quelli che restano - stati d'animo del paesaggio contemporaneo'
a cura di Mimmo di Marzio - direzione artistica Nicoletta Castellaneta
Spazio Oberdan
Viale Vittorio Veneto 2, Milano
23 novembre 2011 - 29 gennaio 2012

Pancrazi - tetti

Allo Spazio Oberdan un’importante mostra che mette a fuoco le indagini sul paesaggio contemporaneo da parte di alcuni tra gli artisti del nostro territorio ormai riconosciuti sulla scena internazionale, dal titolo “Quelli che restano”, promossa da Provincia di Milano/Assessorato alla Cultura e Fondazione Club Lombardia in collaborazione con Polyedra, ALT, Ciaccio Broker, a cura di Mimmo Di Marzio, direzione artistica e organizzativa di Nicoletta Castellaneta.
Il titolo boccioniano intende rilevare i nomi più rappresentativi anche a livello internazionale che hanno iniziato in Lombardia la loro carriera artistica e al contempo si sono confrontati, attraverso differenti linguaggi artistici, con le molteplici accezioni dei concetti di spazio, tempo e luogo.
Il paesaggio, in questa mostra, è interpretato e vissuto come sguardo sui mutamenti urbano-ambientali ma soprattutto nelle sue relazioni emozionali tra luogo e artista-osservatore. Uno sguardo che si manifesta oltre il carattere meramente rappresentativo ma sempre lungo il confine tra arte e architettura, creatività e progetto. Gli artisti esprimono la loro concezione di spazio fisico e mentale con tutti i media che oggi l’arte contemporanea mette a disposizione, tra installazioni ambientali, scultura, fotografia, pittura e video. Paesaggio come sfondo o come attraversamento, come territorio in divenire o come contenitore di flussi, ma anche come riflessione. Un’indagine che gli artisti svolgono allo Spazio Oberdan all’interno di spazi autonomi e che appare quanto mai consona a una realtà come quella che sta affrontando in questi anni la città di Milano, tra nuove politiche territoriali e trasformazioni ambientali in vista dell’Expo.

Gli artisti in mostra

Nell’installazione di Loris Cecchini - in dialogo con le opere su carta di Giovanni Frangi, un labirinto composto di sabbie e pigmento puro all’interno di pannelli alveolari pone l'idea di una stratificazione geologica che al tempo stesso fa riferimento alla storia della pittura.
L’intervento di Frangi risponde con un’installazione pittorica su carta che riproduce un paesaggio immaginario attraverso cromatismi che all’interno dello spazio paiono liberare le texture geometriche e minimali.
In una stanza buia l’installazione luminosa e sonora di Mario Airò – il flash che illumina un ramo d’albero trasformandolo in lampo e il rumore di un tuono – riproduce artificialmente la forza della Natura che nello spazio chiuso dà luogo a uno spiazzamento percettivo.
 
Salvatore Falci riveste lo spazio con cinque gradini d’erba cresciuta secondo la configurazione del camminamento dei fedeli su un sagrato lombardo,
Marco Petrus, sulle orme di Alighiero Boetti, fa realizzare in Nepal un tappeto a mano su cui è raffigurato uno dei suoi celebri scorci architettonici.
Andrea Mastrovito realizza appositamente per la mostra che sulle pareti dello Spazio Oberdan riproduce un grande paesaggio boschivo che, attraverso effetti materici e luminosi, muta seguendo un ritmo circadiano.
“Milano a strappo” è il titolo dell’installazione che Stefano Arienti dedica alla percezione di una città rappresentata attraverso immagini ritagliate dalle pagine di quotidiani, poetiche ‘assenze’ su fotografie ingiallite che lasciano appena intravedere scorci urbani riconoscibili.
Un paesaggio interiore e in costante divenire quello costruito da Pierluigi Calignano: una serie di pannelli ridisegnano ritmicamente e cromaticamente lo spazio, attraverso colore e assenza di colore, alternanza di pieni e di vuoti.
L’installazione di Luca Pancrazzi si compone di semplici materiali di uso quotidiano – libri o rotoli di scontrini fiscali - con cui l’artista compone orizzonti immaginari e sculture-paesaggio dove microcosmo e macrocosmo dialogano e si interfacciano.
“Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, ora”, è l’iscrizione che Alberto Garutti ha composto su una pietra collocata al suolo in diversi punti della città di Milano dall’aeroporto di Malpensa. Nella sua opera è racchiuso il concetto di un paesaggio inteso come geografia antropologica ed esistenziale, flusso consapevole di vissuti individuali.
Una ‘strip’ fotografica di Paola Di Bello lungo circa trenta metri che percorre le stanze della mostra è il paesaggio“ in velocità “ nella geografia urbana, dove la manipolazione di scatti singoli crea una mappa metaforica tra il tempo e lo spazio.
Anche Alessandro Papetti, attraverso il medium pittorico, fuoriesce dalla tela e compone un’installazione ‘neofuturista’ che immerge lo spettatore in un tunnel cromatico dove le immagini della città si scompongono e ricompongono, come nella ripresa fotografica da un’auto in corsa.
Il video di Debora Hirsch è ambientato in un paesaggio carico di significati biografici ed emozionali, la piazza centrale di Salvador de Bahia dove venivano puniti a frustate gli schiavi. Semplici passanti salgono e scendono in ‘slow motion’ secondo una dinamica impossibile e surreale.
Poetica e evocativa è l’installazione di Vedovamazzei che attraverso il calco di un muro deteriorato dal tempo disegnano la geografia di una nostalgica intimità.
Nell’opera fotografica di Adrian Paci, un gruppo di extracomunitari fermi nella sala d’attesa di un aeroporto rappresenta metaforicamente la geografia del mondo contemporaneo, una geografia in divenire e in costante relazione con il movimento dei flussi migratori.

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