In particolare, il più timido di tutti è stato proprio Renzi che, al riguardo, ha affermato :
"È giusto che chi ha di più dia di più, ma prima dobbiamo dare l’esempio noi"Dello stesso parere di Renzi, è stato anche Civati, secondo il quale:
"Prima bisogna rivedere il Catasto, fare l’anagrafe dei patrimoni e, comunque, la tassazione deve essere progressiva".Molto più diretto è stato invece Cuperlo, che ha precisato:
"Ho trovato un eccesso di timidezza nelle risposte dei miei concorrenti. Sì, sarebbe giusto introdurre una patrimoniale perché la crisi non è stata uguale per tutti. Non per colpire la ricchezza ma per redistribuire la ricchezza".Queste, in buona sostanza, sono le dichiarazioni dei leaders del PD a proposito dell'imposta patrimoniale; anche se non si ha ancora chiaro cosa intendano per imposizione patrimoniale: se la vorrebbero strutturale come quelle già esistenti, oppure una tandum come quella di Amato nel 1992. Ai leaders del Pd & co. che non perdono occasione per evocare l'opportunità di una imposta patrimoniale sui risparmi, vorrei far notare quanto segue. Nel 1992, come noto, Giuliano Amato, in piena notte, fece già una rapina dello 0.6% sui conti correnti degli italiani. Con quella sciagurata azione degna di uno stato ladro, si colpirono anche chi, sul proprio conto corrente, in quei giorni, per loro sfortuna, ebbero accreditato un mutuo, contratto magari per l'acquisto di un immobile o per qualsiasi necessità. Di fatto, vennero prelevati dei soldi anche sui debiti degli italiani. A mio parere fu una grande rapina, ma quantomeno fu una tandum, e quindi non strutturale.
Oggi la questione è assai differente, e anche più inquietante.
Perché, se è vero come è vero che quella di Amato fu un'imposta patrimoniale una tandum, oggi, invece, la quasi totalità dei risparmi sono colpiti con l'imposta di bollo dello 0.15% (0.20% dal 2014), in modo strutturale. Cioè, un terzo dell'imposta patrimoniale di Amato, che si ripete tutti gli anni. Salvo ulteriori inasprimenti.
Oltre a questa imposta che colpisce la consistenza dei risparmi e quindi il patrimonio, gli investimenti finanziari scontano ulteriori imposte sia sui capital gain, sui dividendi e sulle cedole, tutt'altro che leggere.
Quindi, in Italia il risparmio è già ampiamente ( e pericolosamente) tassato e chi crede che sia possibile ulteriori imposte patrimoniali, lo fa perché perfetto analfabeta economico e, cosa peggiore, perché si vuole colpire quei piccoli risparmiatori che hanno accumulato qualche risparmio in virtù di redditi prodotti in età lavorativa, peraltro già tassati a livelli siderali.
Infatti, quando si accorgeranno che il gettito derivante da un'imposizione patrimoniale straordinaria sarà ben poca cosa rispetto a quanto da loro ipotizzato, finiranno per abbassare l'asticella di imposizione, andando a colpire proprio quei piccoli risparmiatori che, magari, durante la loro attività lavorativa, avranno messo da parte qualche risparmio per far fronte agli imprevisti o alle necessità della vecchiaia, viste le pensioni da fame che lo Stato paga., obbligandoli però, in età lavorativa, a dover rinunciare a parte del proprio reddito, per garantire il pagamento delle pensioni attuali, talvolta faraoniche, senza che i percettori abbiano fatto la stessa cosa erano in età lavorativa.
E quest'ultimo fatto lo abbiamo dimostrato proprio in una serie di articoli che vi ripropongo e vi invito alla lettura, tenuto conto che si tratta di argomenti di fondamentale importanza che meritano di essere letti, approfonditi, compresi e diffusi. Non hanno nulla di complesso, ed è sufficiente leggerli con un po' di attenzione per comprendere in che modo potremmo essere colpiti da un'imposta patrimoniale, traendone le dovute considerazioni.
ASPETTANDO LA PATRIMONIALEQuando vi recate in banca per chiedere un finanziamento o un mutuo per l'acquisto della vostra abitazione, la banca, in genere, in condizioni di normale operatività, pone due condizioni essenziali a garanzia delle somme che vi verranno erogate: l'ipoteca sulla casa che voi acquistate, e un reddito ritenuto adeguato per poter pagare le rate di finanziamento che, dall'erogazione in avanti, vi verranno addebitate fino alla completa estinzione del debito.
In pratica, il valore della casa, bene reale per eccellenza, costituisce la garanzia (per la banca) che voi onorerete il debito attraverso il pagamento delle rate, reso possibile da un flusso finanziario di lungo periodo: il reddito da voi prodotto. Se si interrompe quest'ultimo compromettendo la vostra capacita di rimborso del mutuo, la banca, per recuperare il proprio credito, potrà invocare la garanzia (l'ipoteca) e vendere il "vostro" immobile per recuperare il proprio credito, che per voi è un debito. Discorso analogo vale anche per il debito pubblico, anche se con qualche peculiarità differente. Siccome la macchina statale, per poter funzionare, ha bisogno di credito, quando i nostri governanti si recano per le varie cancellerie mondiali o nei vari road show e affermano che l'Italia ha un'economia solida, altro non fanno che rassicurare gli investitori (che finanziano lo Stato) confermando che loro possono investire tranquillamente sull'Italia poiché il loro credito (debito dello stato) potrà essere ripagato, stante la ricchezza degli italiani. Quindi, in un certo qual modo, il patrimonio degli italiani, seppur in mancanza di un atto formale idoneo a costituire "ipoteca" o "pegno", viene posto a garanzia dei prestiti che gli investitori concedono allo stato. Ciò è possibile grazie all'autorità che lo stato può esercitare nei confronti della popolazione. Mentre il reddito prodotto degli italiani costituisce il flusso di ricchezza che permette il pagamento degli interessi agli investitori. Quindi, lo Stato, forte della sua autorità che gli consente -attraverso l'imposizione fiscale- di considerare il patrimonio dei singoli cittadini a garanzia degli investitori, trasforma la ricchezza nazionale in una garanzia per gli investitori pronta ad essere escussa grazie all'autorità di cui lo stato stesso dispone e che si sostanzia proprio nel prelievo fiscale, sia ordinario che straordinario in caso di imposte patrimoniali straordinarie. Accade che il debito dello stato, contrariamente al debito dei privati, verosimilmente, non viene mai (?) rimborsato, ma semplicemente rinnovato; almeno fino a quando gli investitori non decidano di staccare la spina, ottenendo il rimborso del proprio credito. Ciò significa un cosa molto semplice, ossia che gli investitori, siccome hanno delle masse di liquidità che devono essere pur investite e sempre a caccia di un buon rendimento e di un porto sicuro, alla scadenza del proprio credito, altro non fanno che concedere alla Stato un'ulteriore dilazione, rinnovando il proprio investimento a condizioni modificate, sia in termini di durata e di rendimento. Quindi, fino a quando gli investitore non pretendono indietro i loro soldi, nulla da temere. Ma le cose cambiano nel momento in cui gli investitori invertono la rotta e poiché lo Stato non dispone delle risorse per ripagare il debito, si verifica la bancarotta. Ecco quindi che lo Stato, con la sua azione fiscale, altro non fa che pagare la pretesa dei finanziatori, alle banche, ai fondi di investimento e ai fondi pensione che hanno investito sui titoli italiani. In parole ancora più semplici, il patrimonio degli italiani è la garanzia della solvibilità dello Stato.
Pochi giorni fa, la Banca d'Italia, ha reso noto il consueto rapporto sulla ricchezza delle famiglie italiane, che potete trovare QUI nella forma pubblicata.
Omettendo di entrare nei meandri della metodologia adottata da Bankitalia per quantificare la ricchezza delle famiglie, dal rapporto emerge che, alla fine del 2011, la ricchezza netta delle famiglie italiane era pari a circa 8.619 miliardi di euro, corrispondenti a poco più di 140 mila euro pro capite e 350 mila euro in media per famiglia. Più precisamente, secondo quanto riportato dal rapporto, alla fine del 2011 le attività reali (5.978 rappresentavano il 62,8 per cento della ricchezza lorda, le attività finanziarie (3.541 miliardi di euro) il 37,2 per cento e le passività finanziarie (900 miliardi di euro) il 9,5 per cento.
LE ATTIVITA' REALI
A fine 2011 le attività reali detenute dalle famiglie italiane ammontavano a 5.978 miliardi di euro. Le abitazioni rappresentavano l’84 per cento del totale delle attività reali e i fabbricati non residenziali quasi il 6 per cento. Impianti, macchinari, attrezzature, scorte e avviamento incidevano per il 4 per cento, mentre i terreni e gli oggetti di valore ammontavano rispettivamente a poco più del 4 e del 2 per cento.
Alla fine del 2011 le attività finanziarie ammontavano a oltre 3.500 miliardi di euro, in contrazione a prezzi correnti rispetto a fine 2010 (-3,4 per cento). Quasi il 42 per cento era detenuto in obbligazioni private, titoli esteri, prestiti alle cooperative, azioni e altre partecipazioni e quote di fondi comuni di investimento. Il contante, i depositi bancari e il risparmio postale rappresentavano quasi il 31 per cento del complesso delle attività finanziarie; la quota investita direttamente dalle famiglie in titoli pubblici italiani era pari al 5,2 per cento. Le riserve tecniche di assicurazione, che rappresentano le somme accantonate dalle assicurazioni e dai fondi pensione per future prestazioni in favore delle famiglie, ammontavano al 19,2 per cento del totale delle attività finanziarie.È continuata nel 2011 la ricomposizione dei portafogli delle famiglie verso forme di investimento più liquide, quali il contante e il risparmio postale e i conti correnti bancari, le cui quote di ricchezza finanziaria sono ulteriormente cresciute rispetto al 2010 (rispettivamente di 0,3, 0,4 e 0,5 punti percentuali). Rispetto al 2010, la quota di ricchezza detenuta in titoli pubblici italiani è cresciuta di un punto percentuale, pari a oltre 30 miliardi di euro, tornando sui livelli del 2009. La quota di ricchezza finanziaria in titoli pubblici posseduta dalle famiglie italiane è comunque decisamente inferiore a quella della seconda metà degli anni '90, quando ammontava in media al 14 per cento. Quella detenuta in azioni e partecipazioni (circa 500 miliardi di euro, pari al 14 per cento) si è ridotta dalla fine del 2010 di 3 punti percentuali, esclusivamente a causa della riduzione della quota di titoli italiani; nel 2000 ammontava a circa un quarto delle attività finanziarie totali.Secondo le statistiche disponibili, le attività finanziarie detenute sull’estero dalle famiglie italiane erano di oltre 300 miliardi di euro a fine 2011, in diminuzione di circa il 5 per cento rispetto alla fine del 2010.
- Attività reali per 5977.80 miliardi di euro
- Attività finanziarie per 3541 miliardi di euro
- Passività finanziarie per circa 900 miliardi di euro.
Veniamo, ora, alla ricchezza finanziaria quantificata in 3541 miliardi di euro, tentando di comprendere in che modo potrebbe essere interessata da un'eventuale imposizione patrimoniale.
In questa categoria di ricchezza sono ospitate un numero di attività che, l'analisi prodotta da Bankitalia, sostanzialmente, scompone in questo modo:
Molta materia imponibile da colpire con un'imposta patrimoniale feroce, si direbbe! Ma le cose non stanno esattamente in in questi termini, vediamo perché. Prima di tutto occorre scomputare il denaro contante: tassare il contante, fino a quando questo rimane tale, è un esercizio impossibile da praticare. Non deve sorprendere, infatti, che buona parte del mondo politico, sarebbe favorevole ad una progressiva abolizione del denaro contante. Ciò perché, per obbligo normativo, questo, verrebbe depositato in banca e quindi diverrebbe individuabile da parte del fisco, facendo emergere materia imponibile da colpire, più o meno ferocemente. Ma di questo abbiamo reiteratamente parlato in questo sito e ulteriori dettagli potete trovarli QUI, QUI E QUI. Esistono inoltre altre categorie di attività che, sebbene parzialmente note al fisco, tassarle con un'imposizione patrimoniale, risulterebbe abbastanza difficile e soprattutto rischierebbe di fare più danni che altro. E' il caso, ad esempio, dei crediti commerciali. Tassare un credito vantato da un'azienda, benché tecnicamente possibile -obbligando ogni impresa a rendere noti al fisco i rispettivi crediti commerciali attraverso apposita comunicazione- appare non ortodosso, oltreché distruttivo. E poi, è evidente che al credito di un'azienda, corrisponda un debito di un'altra azienda. Siccome sarebbe ragionevole attendersi che il credito possa essere scomputato dal debito, alla fine, la base imponibile sarebbe comunque limitata e un'eventuale imposizione patrimoniale, anche in questo caso, graverebbe sulle imprese che già scontano livelli di prelievo fiscale insostenibile, con picchi del 70/75% o forse più. Discorso del tutto simile può essere osservato per le riserve assicurative. Anche queste potrebbero essere tassate, ma non senza difficoltà, contraddizioni, e non senza arrecare più danni che guadagni. L’applicazione di una imposta patrimoniale feroce, verosimilmente, andrebbe a colpire anche i fondi pensione e i fondi assicurativi, verso i quali un numero non del tutto indifferente di risparmiatori hanno riposto le speranze per ottenere l’integrazione pensionistica, al fine di integrare (o sostituire) la pensione erogata dai vari enti previdenziali. Sotto questo punto di vista, le scelte del governo volte all’applicazione di una imposta patrimoniale straordinaria, contrasterebbero con le politiche di welfare e con le varie riforme pensionistiche varate negli ultimi 10/15 anni, o forse più. Al riguardo, vale la pena ricordare che tali politiche hanno impresso uno stimolo allo sviluppo di forme pensionistiche alternative, capaci di integrare i flussi finanziari del risparmiatore in età pensionabile, al fine di arginare la progressiva diminuzione delle prestazioni garantite dai veri enti pensionistici. Non un problema da poco, direi Anche la ricchezza riconducibile alle partecipazioni in società di capitali non quotate (circa 420 miliardi di euro) o alle partecipazioni in società o quasi società (circa 205 miliardi di euro) è di difficile imposizione poiché, essendo questa una ricchezza riconducibile essenzialmente a partecipazioni in piccole società che non hanno una valutazione di mercato giornaliera (come invece avviene per le società quotate), oltre ad essere del tutto astratta, occorrerebbe definire un criterio attendibile di valutazione della partecipazione. Benché sia possibile effettuarlo per via amministrativa, il rischio è proprio quello di subire una valorizzazione arbitraria da parte dello Stato attraverso delle procedure che possano valorizzare determinati asset non in maniera pertinente. In sostanza, è un po’ come oggi avviene con gli studi di settore per la quantificazione dei redditi di impresa. E in anche in questo caso l’esperienza ci conferma quanto possano risultare arbitrarie e non pertinenti la determinazione del fisco. Inoltre, nel caso di imposte patrimoniali applicate ad imprese o aziende, c’è da dire che queste comporterebbero anche un'ulteriore abbattimento della competitività della imprese che, a quel punto, dovrebbero compensare la compressione di redditività patita con l’imposta applicata, attraverso un aumento di prezzi che le renderebbero ancor meno competitive, e aggravando una situazione già di per se critica.
Per il ragionamento sopra esposto, quindi, escludendo le componenti sopra descritte, la ricchezza che rimarrebbe rilevante ai fini di un imposizione patrimoniale, per lo più in forma liquida, sarebbe circa 2000 miliardi così desunti:
LETTURE SUGGERITE: ARRIVERANNO ALL'ESPROPRIO DI MASSA
ECCO PERCHE' LE BANCHE VOGLIO IL NOSTRO CONTANTE
L'IMPOSTA PATRIMONIALE: SE LA CONOSCI LA EVITI
BERSANI E LA SUA LOTTA AL CONTANTE: UNA PURA FOLLIA