di Rina Brundu. Oggi è ricomparsa pure Rosi Bindi. Nel suo ruolo istituzionale ha detto qualcosa a proposito dello “sfregio” fatto alla città di Roma dal funerale-show del boss Casamonica. Anche il sindaco Marino si è di nuovo stracciato le vesti (ma siamo sicuri che il suo guardaroba reggerà l’autunno caldo?) e chi più chi meno tutti i politici (tranne Matteo Renzi, naturalmente, a cui i gesti scriteriati sono vietati dagli spin doctors), hanno ripetuto la solita cantilena di condanna dello status-quo civilmente e culturalmente degradato manifestatosi ancora una volta nel cuore della Città Eterna, cantilena afflitta dalla Sindrome politica della meraviglia a posteriori.
E fin qui è tutto nella norma. Interessante è invece notare il “distacco” del cittadino qualunque dalla faccenda mediatica funerale-mafioso, forse perché, come accade ad ogni spirito pragmatico, a colui/colei viene logico pensare che se alla mafia viene permesso di vivere e lavorare indisturbata sul territorio occorre necessariamente darle spazio per seppellire i suoi morti. Il resto è pulp fiction intrisa dei paradossi che inevitabilmente portano seco le riforme renzistiche figlie di un Dio minore. Per inciso quelle riforme neppure contemplate, che non troveranno mai accoglienza sul tavolo troppo busy del nostro Premier . Di fatto per occuparsi di mafia, di tragedia dei migranti e di altre qeustioni simili occorre sporcarsi le mani. Occorre scontentare qualcuno con il rischio di perdere quei tre o quattro punti di gradimento “faticosamente” conquistati con l’elargizione degli 80 Euro e altre gesta eroiche della stessa specie.
Ma in realtà anche le politiche gattopardiche – ovvero quelle che nei momenti di massimo splendore delle dottrine che le incensano, chiamano rivoluzioni i cambi di sedere su una poltrona -, presentano, a lungo andare, il loro conto. Nel caso di Matteo Renzi i nodi vengono al pettine con un inesorabile logoramento del “gradimento” che nel futuro prossimo porterà o ad un improbabile gesto pseudo-democratico di dimissioni pilotate come è stato il caso di Tsipras in Grecia, o ad altri più probabili inciuci italici con Tizio e Caio, da sinistra a destra (Sindrome del ‘ndo cojo cojo), pur di tirare a campare fino al 2018.
Diceva Prezzolini che “L’Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Italia sono i furbi, che non fanno nulla, spendono e se la godono”. Un ritratto ante-litteram e quanto mai preciso del renzismo che rallenterà la liberazione di questa nazione dalle sue croniche malattie politiche di anni. Ma volendo anche un ritratto di uno status-quo socio-culturale spavaldamente machiavellico quindi difficile da mutare. Se però la smettessero di offendere la nostra intelligenza con queste sceneggiate napoletane di afflizione civica a posteriori e con questi sguardi innocenti spalancati per forza di meraviglia bambinesca, si sarebbe comunque fatto un sostanziale passo avanti.