Quello che il renzismo non dice (161) – Ancora sul populismo antieuropeo governativo stile “disobbedienza civile” di Thoreau e sul nuovo “buco” da quattro miliardi scoperto dalla GDF.

Creato il 02 febbraio 2016 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

Henry David Thoreau

di Rina Brundu. Se dovessi dire quale è stata la maggior colpa dell’Europa in questi anni, direi che è stata quella di esistere come associazione di tipo politico e quindi di avere funzionato come entità scaricabarile per sgravare i governi nazionali dalle loro responsabilità. Il caso italiano, in questo senso, è uno dei più gravi, come testimoniano i fatti di questi ultimi giorni, laddove davanti allo sconquasso amministrativo interno procurato da una macchina burocratica infernale e corrotta, che negli ultimi dieci mesi ha determinato un nuovo “buco” da quattro miliardi, almeno a credere alle evidenze fornite dalla GDF, il nostro governo, invece di prendere azione, intraprende una pseudo-battaglia a distanza con fantomatici vertici comunitari contribuendo a ridicolizzare ulteriormente la nostra reputazione internazionale già ai minimi.

Che finita la guerra-campale per le cosiddette riforme – che hanno peraltro partorito “il topolino” come largamente anticipato da qualsiasi essere senziente che abbia visto come funzionano le cose ne paesi normali – il renzismo dovesse trovare un altro cavallo vincente (o pseudo tale) per combattere le sue battaglie mediatiche, era pure da prevedersi. Molto meno prevedibile era che un governo boyscout, mandasse affanculo le nozioncine da oratorio per bravi ragazzi con cui ci ha sempre ammorbato Renzi, per seguire improbabili strade di “disobbedienza civile” (seppure in sede comunitaria) in stile Thoreau. Purtroppo per lui, Matteo Renzi manca completamente del coraggio e dell’onestà intellettuale del grande saggista americano, ma soprattutto manca della sua capacità di impegno politico (che è altra cosa del girare a spese del contribuente tra il Quartier Generale di Google e Machu Picchu!).

L’impressione dell’occhio che guarda è che questa nuova versione populista del renzismo rappresenti in qualche modo l’anticamera della sua fine. Un renzismo allo sbando dunque, cucinato a fuoco lento dentro le dinamiche sempre più soffocanti che ha saputo costruire, laddove le tante corde tirate finiranno con l’impiccarlo più prima che dopo. Naturalmente, val la pena sottolineare che – a parte il recente sputtanamento mondiale in occasione della visita di Rouhani (altra faccenda già nascosta nella sabbia e chi si è visto si è visto) con conseguente censura dei nudi classici – nessun organo di Stampa serio si interessa all’estero di queste pseudo-battaglie renziane. Raccontano tuttavia i bene informati che qualche sopracciglio vagamente “preoccupato”, si è in effetti alzato in sede comunitaria per riposizionarsi all’origine dopo un solo centesimo di secondo: il tempo necessario per realizzare che l’ira funesta renziana si sarebbe risolta nel solito “much ado about nothing” italico.

Parafrasando John Maxwell, ecco comunque una domanda importante che bisognerebbe fare a Matteo Renzi per capirne di più: “Il deleterio populismo antieuropeo per costruire una nazione da sogno o per costruire il suo sogno usando la nazione per raggiungerlo?”. Francamente a me non servirebbe neppure una risposta, ritengo che da questo punto di vista il renzismo l’abbia già data in questi mesi, in maniera roboante e convincente.