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Quello che il renzismo non dice (3), l’affaire Enrico Letta tra berlusconismo e machiavellismo.

Creato il 18 luglio 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Enrico_Letta_2013di Rina Brundu. Per sommi capi la storia è questa. Qualche giorno fa, dopo la mezza sollevazione europea contro la candidata renzista Federica Mogherini alla carica di Alto Rappresentante per gli affari esteri europei, l’attuale presidente del Consiglio europeo Herman Van Rampuy, memore, forse, dell’ospitalità ricevuta nel Bel Paese durante la breve carriera da Primo Ministro di Enrico Letta, ha proposto quest’ultimo quale suo successore: un modo come un altro, a suo dire (di Van Rampuy), per compensare lo smacco politico subito dall’Italia.

Una proposta sensata a ben guardare, una proposta logica. Ma, apriti cielo!, l’uomo del montecitorio… pardon, Matteo Renzi ha detto no. E ha detto un no a suo modo tonante che in realtà fa a pugni con il fatterello, fattorucolo, la pinzillacchera che sembrerebbe essere a prima vista questa notizia. Già perché a macro-livello la faccenda è stata completamente ignorata dalla stampa straniera (solo l’Ansa made-in-english ne ha dato concisa informazione), nonché platealmente censurata dalla nostra “Grande Stampa” in pieno stile purga giornalistica sovietica d’antan.

Tuttavia questa resta una “notiziona” e resta una notiziona perché per la prima volta la maschera è caduta e noi abbiamo avuto la possibilità, per un breve ma intensissimo istante, di vedere l’altra “facciata” del renzismo-buonista; per inciso quella “facciata” che lo fa assomigliare sempre più pericolosamente ad un berlusconismo di seconda mano e ad un machiavellismo rabberciato e proprio per questo quanto mai inquietante. Lontani i tempi del mitico “Enricostaisereno”, passati i giorni del “bisogna cambiare perché tutto cambi” (ideale filosofia che in teoria avrebbe dovuto giustificare lo “sgambetto” fatto all’ex-premier persino agli occhi delle pie perpetue e delle ave-marie di tutte le parrocchie italiche), il renzismo non tweeta più ma dai tweet e passato ai fatti…. in piena, alta e nobilissima tradizione machiavellica.

Lo status-quo non è necesssariamente un male. Sono ormai cinque secoli, soprattutto dentro le nostre realtà occidentali tendenti alla democratizzazione ad ogni costo e per imposta virtù, sovente per virtù di comodo, che si parla di “superamento” del machiavellismo ma la realtà recita altrimenti. La realtà dice che Machiavelli resta il pensatore politico per eccellenza perché ha avuto il “coraggio” di raccontare gli uomini che fanno vivere la politica per come sono e non per come vorremmo che fossero; o per come ci illudiamo che siano in virtù della personale convenienza e/o del nostro utilitaristico credo.

Ne deriva che dopo “l’affaire Enrico Letta” Matteo Renzi è diventato un altro principe machiavelliano come tanti prima di lui, né migliore né peggiore; di sicuro non ci si possono fare illusioni sulla sua aureola di disinteressato salvatore della patria. Questo per dire che ciò che impensierisce maggiormente è che dal berlusconismo (una sorta di figlioccio, figliastro del machiavellismo), il renzismo sembra non avere ereditato neppure la cortesia-di-facciata, quella che dentro un partito-azienda è necessaria per esempio per ottenere un risultato a qualunque costo. Un tratto “importante” che venendo a mancare genera proprio la tipologia di maleducato benservito che è stato riservato in questi giorni a Enrico Letta. Immeritatamente, a mio avviso.

Detto altrimenti, dopo lo “schiaffo” renziano, l’ex Premier somiglia sempre di più ad una sorta di pulcino pio (anche lui come le perpetue), simpatico, da vezzeggiare, ma perdente, presenza di forma senza arte ne parte sostanziale nella fattoria italica; Renzi, il lupo “cattivo”, sembrerebbe averla vinta. Per ora.

Quello che il renzismo non dice (2): il caso Mogherini visto oltremanica. Aridatemi la Santanché e un appello ai redattori wikipedici…

Quello che il renzismo non dice, dal vertice per Gaza all’operazione Mare Nostrum. E sull’intervento di Angelino Alfano al TG1.

Featured image, Enrico Letta.


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