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Quello che il renzismo non dice (4): Silvio e Matteo, yep, it’s officially a bromance. E sugli affaire(s) M5S e pm Nino di Matteo.

Creato il 20 luglio 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
220px-The_Queen_moviedi Rina Brundu. Meglio chiarirlo subito che non si sa mai: il termine inglese “bromance” definisce una relazione stretta ma non di natura se**uale tra due uomini. È una contrazione linguistica molto in voga, molto moderna e molto cool in ambienti anglossassoni; così come è trendy da un punto di vista mediatico, basti pensare, tra i tanti, agli innumerevoli casi di “bromance” (Sheldon e Leonard, Rajesh e Howard, etc), nella sit-com cult “The Big Bang Theory”. Dovessi fare un parallelo italico, direi che anche il datato rapporto Don Camillo-Peppone era fondamentalmente un caso di bromance, seppure sui generis.

La precisazione era doverosa nonostante i rischi di mal interpretazione fossero minimi: dubito molto infatti che la recente e lodevole pacificazione tra le truppe silviche e l’Arcigay, grazie all’intervento della Pascale, potrà mai determinare conversioni “importanti” e fondamentali nella filosofia di vita di Silvio Berlusconi. Resta il fatto che dopo le recenti dichiarazioni di Matteo Renzi (“Con Forza Italia che rappresenta milioni di voti non c’è un accordo di governo ma istituzionale perché in un Paese civile le regole si fanno insieme. Dal punto di vista istituzionale mantenevo la parola anche se Berlusconi fosse stato condannato”), la relazione di quest’ultimo con il leader arcoriano è ufficialmente un “bromance”: no doubts about that!

Ma si tratta di amore vero, di peccato o di vergogna? A mio avviso si tratta di amore vero ed è proprio questo il problema: più stretta diventa l’alleanza tra PD e Forza Italia più labile diventa il confine tra due “posizioni” politiche storicamente alternative e idealmente portatrici di valori diversi. Di istanze anche sociali diverse che non possono essere dimenticate troppo facilmente nel nome del mito delle riforme, come pare pensare il renzismo. Di fatto, nel nome delle auspicabili “riforme” in Italia si stanno delineando scenari nuovi che per certi versi mi ricordano distopie da mondo futuro diviso in ceto “abbiente” e negli “altri”. Sul piano pratico la vera “opposizione” (come del resto hanno sempre rivendicato), è rappresentata da quel M5S che tuttavia si propone più in crisi che mai: dopo avere perso l’occasione governativa rifiutando qualsiasi tipo di contatto infettante con la “casta politica”, sembrerebbe adesso impegnato in una “rincorsa” tutta a tesa ad ottenere “l’accettazione” e “legittimazione” formale degli altri. Bisognerebbe ricordare al pur bravo Di Maio che la legittimazione ad un partito o gruppo o movimento politico gliela dà il popolo e non i benpensanti a supporto di questa o quell’altra crociata. Quindi meglio sarebbe una linea politica valida, moderna, efficace, collaborativa quando serve, ma indipendente dagli altrui umori o necessità.

Infine c’é la faccenda delle esternazioni del pm Nino di Matteo che del “bromance” renziano-berlusconiano proprio non ne vuole sentire, che avrebbe accusato il presidente della Repubblica di condizionare il Csm e Renzi di fare le riforme con un politico condannato. Scrivo da persona che ritiene che tra un politico (chiunque sia) e un giudice (chiunque sia), un cittadino onesto dovrebbe stare sempre dalla parte della giustizia, l’alternativa sarebbe infatti l’anarchia, la distruzione di ogni parvenza di diritto, l’annientamento delle nostre istituzioni democratiche che bene o male ci permettono di essere così come siamo e di vivere così come viviamo, liberi. Ne deriva che ai giudici e alla giustizia si deve chiedere di più. Una critica, anche severa, che può e DEVE essere espressa per esempio da un opinionista, un commentatore esterno, un giornalista, un critico a qualsiasi titolo, può NON essere un diritto di un giudice. Au contraire, dovrebbe essere un dovere il suo silenzio laddove la non comprensione che parlando il danno procurato potrebbe essere grave, non può scusare, un poco sulla linea della mitica locuzione “Ignorantia juris non excusat” che è certamente nota al pur bravo pm di Matteo, mente storica dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia (non dimentichiamolo).

Nello straordinario film del 2006 The Queen diretto da Stephen Frears, scritto da Peter Morgan e magistralmente interpretato da Hellen Mirren nel ruolo di Elisabetta II c’é una indimenticabile scena iniziale nel quale la regina mentre intenta a posare per un ritratto ufficiale, commenta le recenti elezioni che hanno visto trionfare Tony Blair. “Le invidio il suo diritto di voto” sospira d’un tratto Sua Maestà all’indirizzo del pittore nero che la sta immortalando, “Ah, la sottile gioia di essere di parte!”.Ecco, una regina inglese il privilegio di “essere di parte” non ce l’ha, proprio perché nonostante non possa votare quel governo è il suo. Lo stesso vale per i giudici italiani quando si tratta di faccende politiche.

Naturalmente si parla a nuora perché anche suocera intenda, ma vale ancora questo vecchio adagio in un bromance? Il dubbio mi assilla.

Featured image, locandina.

Quello che il renzismo non dice (3), l’affaire Enrico Letta tra berlusconismo e machiavellismo.

Quello che il renzismo non dice (2): il caso Mogherini visto oltremanica. Aridatemi la Santanché e un appello ai redattori wikipedici…

Quello che il renzismo non dice, dal vertice per Gaza all’operazione Mare Nostrum. E sull’intervento di Angelino Alfano al TG1.


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