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Quello che il renzismo non dice (52) – Avvento, o del continuato svilimento della “qualità morale” della casta salvata alle acque tra il manierismo edoardiano di Downton Abbey e i comandamenti di Benigni. E sulle riforme alla Godot…

Creato il 20 dicembre 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
640px-Rembrandt_-_Moses_with_the_Ten_Commandments_-_Google_Art_Projectdi Rina Brundu. Durante lo spettacolo “I 10 comandamenti”, Roberto Benigni ha declamato urbi-et-orbi che il comandamento “Non rubare” è stato scritto proprio pensando a noi Italiani. Non so che tipo di Italiani frequenti Benigni ma non mi ritrovo con questa sua considerazione. Al più posso concordare con quell’ufficiale napoleonico che durante le campagne transalpine in Italia – periodo nel quale i francesi fecero manbassa dei nostri capolavori artistici e rubarono tutto ciò che era possibile rubare -, davanti allo stesso Napoleone (che ricordo era nato in Corsica e dunque era italiano, vista la geografia politica del tempo), inferocito perché non trovava i suoi stivali e che esplose dicendo: “Tutti ladri questi italiani!”, rispose serafico: “Tutti no, ma Buonaparte sì…”.

Un modo come un altro per dire che questa pubblica dichiarazione di correità che non avevo mai sottoscritto, e che immagino tanti altri connazionali non si siano mai sognati di sottoscrivere, mi ha dato molto da pensare. Posto che l’opinabile ipotesi sia vera, a che pro dare tanta pubblicità allo status-quo? Forse per tirare una sottile linea rossa allo scopo di separare i buoni dai cattivi, i coscienti della peculiare insostenibile leggerezza dell’essere-italici e gli incoscienti? Oppure per fare di tutta l’erba un fascio all’insegna del motto “Chi è senza peccato scagli la prima pietra?” e dunque continuare a “rubare” come prima e più di prima? A voglia perciò l’Associazione Nazionale Magistrati ammonire la classe politica, come ha fatto proprio oggi a proposito dei fenomeni di corrutela “Proposte deboli, meno stupore e più determinazione”. Verissimo, noi amiamo lo stupore catartico e ossimorico che ci impegna-disimpegnamoci, che ci permette di condannarci ed assolverci ad un tempo al suono delle marcette nazional-popolari create per l’occasione, meglio se in prima serata sugli schermi di RAI1….

Tra le altre cose, la questione mi ha ricordato il modus completamente diverso di difendere la propria (supposta) incorrotta moralità che avevano i nostri progenitori (in senso lato), anche rispetto alla classe di appartenenza. Per esempio c’è questa straordinaria produzione inglese creata da Julian Fellowes titolata “Downton Abbey” e ambientata nel periodo edoardiano (ovvero quell’età della storia britannica successivo alla morte della regina Vittoria nel 1901 e che vide Edoardo VII sul trono, un tempo che corrisponde più o meno a tutta la prima decade del ventesimo secolo fino all’inizio della prima guerra mondiale), che mostra in maniera brillante come la società di allora, soprattutto l’aristocrazia (la casta ante-litteram?), non amasse troppo lavare i panni sporchi in pubblico. Con il loro amore per la magnificenza, manifestato con un’eccessiva attenzione a come si vestivano, a come parlavano, finanche al modo perfetto con cui preparavano le tavole per le loro cene imporanti, non miravano solamente a mostrare la loro ricchezza, o il loro potere di aristocrazia imperiale, quanto soprattutto la loro qualità morale… Insomma, ben coscienti della pochezza della tempra-umana-sottostante delegavano all’esteriorità il compito di elevarne il suo status… di fatto sputtanandosi da soli ma conservando nel fare questo una data dignità.

Di converso, la pubblica affermazione di “colpevolezza” di Benigni riflette al meglio il modus della nostra moderna casta politica salvata alle acque: declamiamo in piazza i nostri peccati, scandalizziamoci, stupiamoci per dirla con l’AMN, affinché l’immoralità di superficie faccia perfetta equazione con l’immoralità di fondo, nessuno noterà la differenza! Nessuno noterà i perniciosi effetti negativi. O quasi. Di fatto, c’é un bell’editoriale a firma Enrico Marro, titolato “Tanti rinvii non fanno una legge” e pubblicato quest’oggi sul sito Corriere.it, che seppur col leggiadro tocco di piuma tipico del giornalismo italico fa comunque un quadro quanto mai vero dello status-quo politico-operativo del momento, o per meglio dire dell’Avvento 2014: correzioni minime alla legge di Stabilità, questioni rilevanti rimandate alle calende greche, promesse mancate, aumento dell’indebitamento, la favola di una spending-review seria, l’incapacità gestionale e le riforme tanto declamate – affogate da Renzi in un mare di retorica alla maniera con cui Benigni ha affondato le tavole di Mosé – che diventano una sorta di Godot… le stiamo ancora attendendo e già sappiamo che le attenderemo inutilmente nei secoli dei secoli.

Ma tanto gli italiani sono tutti ladri: cui prodest? Lamentarsi, intendo. Meglio montare la guardia vicino al Presepe, non si sa mai!

Featured image, Moses Breaking the Tables of the Law by Rembrandt

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