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Quello che il renzismo non dice (63) – Matteo Renzi dalla rottamazione all’apologia della Prima Repubblica. E dalla leadership della carica dei 101 al discorso sull’etica politica…

Creato il 29 gennaio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
matteorenzidi Rina Brundu. Procura davvero una strana sensazione vedere Matteo Renzi, compito e politically-correct (nel senso letterale, questa volta) che davanti alla platea dei Grandi Elettori PD (costretti al voto palese, per alzata di mano) chiede la convergenza, durante le votazioni per l’elezione del prossimo presidente della Repubblica, su un nome unico: Sergio Mattarella. Fa strano perché – a leggere le recenti dichiarazioni di alcuni suoi compagni, pardon… colleghi (meglio non nominare i “compagni” che si staranno rivoltando tutti nella tomba), fu proprio lui il leader dei franchi-tiratori che, non troppo tempo fa, durante la famosa Carica dei 101 (quella italica, non quella disneyana), affossarono la corsa di Romano Prodi al Quirinale.

Due anni più tardi la domanda sorge spontanea: ma in nome di che cosa fu fatto quello sgambetto politico? Che non ci si venga a dire che erano le necessità del processo di “rottamazione” in progress perchè abbiamo passato il tempo delle bedtime-fairytales. Se mai una “rottamazione” politica renzistica c’é stata, è senz’altro finita un anno fa, quando Matteo Renzi, con golpe-di-velluto, è riuscito nell’intento di mandare a casa il “serenissimo” Enrico Letta e ha preso in mano le redini del potere. Da quel momento poi è tornata in auge la Prima Repubblica con una forza e una “carica” insospettata e insospettabile e con una vitalità che rievoca discutibilissimi e improbabili scenari alla “Cocoon”. O – si potrebbe sarcasticamente speculare – situazioni alterate procurate dall’eccessivo ricorso a “iniezioni” di Viagra, ma forse qui sono io che sto esagerando.

Than again… that’s NOT all folks! Eh già… non è tutto! Non è tutto perché – accortamente relegate negli scaffali impregnati di naftalina, le richieste di Angelino Alfano che avrebbe voluto un “politico” quale nuovo presidente della Repubblica (faceva quasi tenerezza la passione con la quale il nostro Ministro dell’Interno pronunciava il termine “politico”, sottintendendo “un attuale politico italiano”, alla stregua di un bambino che si incaponisce contro il rifiuto della madre di procurargli un petardo o di acquistare uranio arricchito direttamente dalla Craigslist), il pensiero lungimirante e il metro furbo che sono tipici dell’attuale PresDelCons hanno partorito l’ennesima idea astuta e gagliarda volgarmente detta genialata: perché non un giudice della Corte Costituzionale?

Perché? Perché indipendemente dalle qualità del singolo – che non sono mai in discussione – questa nostra amatissima nazione miracolosamente democratica dovrebbe essere messa, sooner rather than later, in grado di diventare finalmente una nazione normale. Ovvero, di diventare un Paese che non ha bisogno di esibire urbi-et-orbi la figura di un blasonatissimo giudice a garanzia della sua onestà. Di diventare un Paese capace di reperire una figura onesta anche tra le fila della sua classe politica e un Paese capace di rinnovare quella classe politica frequentemente non una volta ogni spostamento dell’asse terrestre.

Temo però di essermi (di nuovo?) spinta troppo in là: meglio rientrare subito nei ranghi prima che il Grande Fratello renzistico faccia qualcosa di cui mi potrei pentire. Porgo anch’io le mie solite orazioni quotidiane:

La guerra è pace.

La libertà è schiavitù.

L’ignoranza è forza.

Sotto il castagno, chissà perché.

Io ti ho venduto, e tu hai venduto me:

sotto i suoi rami alti e forti,

essi sono defunti e noi siam morti. (1)

  1. Da “1984” di George Orwell.

Featured image, Matteo Renzi incita la platea dei Grandi Elettori PD.


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