Quello che il renzismo non dice (70) – Sergio Rizzo e il “mostro”: un monumento.

Creato il 08 febbraio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
di Rina Brundu. Bisognerebbe farli leggere nelle scuole, nei centri di aggregazione, nei circoli, nei bar, dal macellaio, all’angolo sotto casa, dovunque. Sto parlando degli articoli di Sergio Rizzo scritti per raccontare il “mostro”. Sto parlando di pezzi come quello titolato “Enti, fondazioni e authority Il collocamento dei non rieletti pd”, catenaccio “Uno su due ha avuto un posto tra società pubbliche e impieghi «politici»”, pubblicato in prima oggidì tra le pagine del Corriere.it (finalmente una ventata di novità rispetto al solito lenzuolo fotografico sul leader!). Sto parlando dei tanti articoli di questo autore che, purtroppo per noi, raccontano l’Italia che è, all’ombra della Casta.

Con esclusione del M5S, la Casta è naturalmente espressione del Sistema nella sua interezza, non solo del PD. Tuttavia, il grande merito di quest’ultimo lavoro è di essere la dimostrazione plastica di tutto ciò che si è andato scrivendo, ripetendo in questi mesi. Il renzismo esiste soprattutto per preservare. Cosa? Interessi, emolumenti, posizioni di potere, privilegi, le segrete ambizioni dei potenti in carica e dei trombati. Ma anche miti e riti (tra questi quelli che inevitabilmente portano al depauperamento di uno Stato), della Prima Repubblica recentemente sdoganata, ripensata, ripulita, fatta splendere della gloria più grande tra le creazioni apologetiche della sottocasta giornalistica.

Colpiscono, in calce all’articolo, i commenti dei lettori: qualcuno scrive di non andare più a votare da anni, lo farebbe sentire meno “responsabile”; qualcun altro tenta di leggere tra le criptiche righe degli ultimi sondaggi un segno, un implausibile monito che dimostri la raggiunta “saturazione” dell’italiano medio; alcuni buttano la spugna: non cambierà mai nulla, nulla potrà cambiare mai.

Non sono completamente d’accordo con queste posizioni: qualcosa può cambiare, e abbiamo finanche gli strumenti per mettere in moto quel cambiamento, ma di sicuro simili mutazioni sono direttamente legate al grado di awareness, di accortezza politica (ma non solo) di un popolo. Vale a dire che occorre una maturità culturale sostanziale per fuggire il bombardamento subliminale mediatico a cui veniamo sottoposti quotidianamente, capirne le motivazioni, gli interessi incrociati che lo fanno vivere. Occorre un know-how importante, insieme ad un desiderio onesto e genuino di voltare pagina.

Purtroppo – e questa non è retorica – non si può davvero dire che gli italiani di questi tempi, esasperati dalla crisi, costretti ad emigrare e ad arrangiarsi, vittime delle loro stesse paure e dei loro vizi conclamati (la furbizia specialmente), siano in posizione ideale per ottenere un risultato diverso nell’immediato. Per lottare ad armi pari. Per ribellarsi. Così ci rassegniamo al ruolo di pecore tifose di questa o di quella parrocchia senza capire neppure il perché, pigramente impegnate a brucare la rara erbetta da prati irrimediabilmente destinati all’arsura, dentro i feudi sterminati di un “mostro” che ingigantisce ogni giorno quel tanto in più, nutrendosi di noi.

Featured image, a promotional photo of Boris Karloff as Frankenstein’s monster, using Jack Pierce’s makeup design

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