(prima parte qui)
Nel trascorrere delle settimane, però, i sogni puri di Martha avevano cominciato a perdere d’innocenza e, sfidando la sua stessa morale, aveva inscenato situazioni sempre più private, tra lei e il ragazzo, visioni che si allontanavano dal fraterno affetto.
La mattina se ne vergognava, turbata tentava di non pensarci, sperando che la stanchezza del giorno la vincesse, ma era sempre il volto di Joshua che aveva davanti e le visioni notturne la trascinavano fino alla fattoria sul fiume, anche se sapeva che erano evocate del diavolo e dai gemiti trattenuti dei genitori o dei fratelli, con cui divideva la camera al piano superiore.
Fu a gennaio, mentre imperversava il gelo ed era impossibile anche mettere il naso fuori di casa, che suo padre alzò una tramezza al pianterreno, accanto alla dispensa, per ricavarne un piccolo ambiente protetto. Sarebbe dovuta diventare la camera padronale ma poi, quasi percepisse il suo disagio, l’uomo aveva deciso di riservarla alla figlia.
Portarono il suo pagliericcio intrecciato al piano inferiore, la mamma ricamò una federa e un lenzuolo, i fratelli dipinsero di bianco il soffitto basso e una piccola mensola, e le fecero dono di quella stanzetta per il suo compleanno.
Martha ne fu felice e grata anche se, quell’intimità cercata forse proprio per preservare la sua innocenza, non fece che sciogliere gli ultimi lacci per lasciar correre la sua già sfrenata fantasia.
Quell’improvvisa intimità, infatti, rese audace la ragazzina che ogni notte percorreva con il pensiero il sentiero fino alla fattoria degli Haagen, saliva le scale mai visitate di persona e raggiungeva la stanza con l’abbaino che immaginava fosse occupata da Joshua, poi si stendeva accanto al suo corpo robusto, cercando un calore sicuro.
Se le prime volte le sembrava di azzardar troppo, e di giorno snocciolava preghiere e implorava silenziosamente il perdono, col tempo quei sogni ad occhi aperti divennero famigliari, sempre più confortanti, e lei si fece più ardita, intessendo trame sempre più intime tanto che, prima che fosse primavera, Martha si sentì in diritto di guardare Joshua negli occhi e ritenerlo suo.
Non che gli avesse mai rivolto parola: lo vedeva alle funzioni della domenica, con l’abito buono e il cappello stretto fra le mani, seduto davanti nel banco degli uomini, tra il signor Haagen e fratello Elijah. Martha aveva imparato a studiare tutte le sue pose, per poterle replicare nella mente, come appoggiava il peso su una gamba o come saltava sul retro del carro quando doveva tornare a casa, ma soprattutto adorava il modo in cui gli si arricciavano i capelli dietro le orecchie, la fossetta sul mento e le narici rigide e tese, come quelle di un coniglio.
Di notte quel naso le faceva il solletico, la bocca larga sorrideva solo per lei, vezzeggiandola come fosse una vitellina, e Martha si svegliava con le mani intrecciate alla camicia da notte, strette fra le gambe, inconsapevole di un fuoco che le metteva i crampi nella pancia e la faceva piangere per nulla.
Sapeva di essere malata, che il diavolo la tentava come accadeva ai suoi fratelli, che si saltavano al collo per un nonnulla, inquieti come animali in gabbia. Per questo Martha cercava di essere buona ed ubbidiente, non aveva più rovesciato il caglio, rotto le uova, o dimenticato fuori le galline, svolgeva ogni suo compito con diligenza e sua madre aveva preso persino ad elogiarla con le vicine, dicendo che sarebbe diventata una brava “goodwife”, usando l’appellativo con cui si indicavano le pie mogli della loro comunità. Essere puritani significava mostrarsi modesti, laboriosi e silenziosi, e Martha lo era, ma per i motivi sbagliati.
Martha di giorno non sentiva nulla, eseguiva gli ordini, annuiva senza proferir parola, guadagnando l’approvazione del pastore, l’ammirazione delle coetanee, ma dentro si sentiva un demonio. I fratelli di fede non lesinavano gli elogi per lei ma non sapevano che, all’imbrunire, dopo essersi affrettata a riordinare le stoviglie o aver finito il lavoro di rammendo, nella penombra Martha volava via col pensiero, slacciando la cuffietta, sciogliendo i lunghi capelli, indossando abiti rossi da peccatrice, guarniti con trine e nastri, e tutto perché Joshua la ammirasse.
La comunità che la esaltava non poteva sapere della vita scandalosa che Martha inventava per sé, non sospettava che il suo silenzio nascondesse sogni scellerati, nei quali ogni volta superava un limite, infrangeva un precetto, facendo di sé una Gezabele.
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