opera degli Os Gemeos
Una volta mi scopavo una di Firenze, andavo in Toscana due volte alla settimana, con l’Alfa, i miei profitti mensili finivano direttamente nel serbatoio senza fine di quella macchina. La tipa si chiamava Eleonora, assomigliava a Claudia Cardinale in un famoso film di Luigi Zampa. Lavorava in una galleria d’arte. Quando seguivo L’Americano ai tavoli spesso mi presentavo come mercante d’arte; io di arte non ci capisco un cazzo, né tanto meno me ne frega un cazzo, ma dire che ero un mercante d’arte mi divertiva troppo, solo dirlo era già un colpo di teatro. A volte al tavolo capitava qualcuno del giro, o un appassionato, allora ero costretto a essere scortese per non essere sgamato, a dire che quando giocavo non volevo parlare di lavoro.
Grazie a Eleonora cominciai a capirci qualcosa, se non dell’arte almeno del mercato dell’arte, e soprattutto realizzai che piazzare un falso non è poi così complicato come si crede, è difficile ma non complicato; basta una firma, l’autenticazione di un critico o di un docente universitario compiacente, certo non è così che si piazza un Caravaggio, ma sugli artisti contemporanei, ed entro determinate cifre, si può lavorare in relativa tranquillità.
Per prima cosa dovevo procurarmi la firma; sgobbai parecchio ma alla fine la trovai. La mia firma era un docente di storia dell’arte in pensione, originario di Palermo, aveva cominciato a giocare forte quando era morta la moglie, in un anno di telesine e rilanci aveva dimezzato i risparmi di una vita. Me lo lavorai con l’Americano, una notte di black jack e poker; a pensarci dopo riconosco di essere stato crudele, gli tolsi tutto, in brevissimo tempo. All’inizio diceva che avrebbe pagato, e nonostante la mia generosità nell’offrirgli forme alternative di pagamento, rimaneva fermo nella sua illusione di poter fare il botto con la mano giusta, al tavolo giusto, al momento gusto. Fui costretto a passare alle maniere forti; un giorno lo aspettai al parco dove portava il nipotino, lo avvicinai e gli dissi di guardare all’interno della mia macchina, gli dissi che quello che vedeva era un delinquente slavo, uno di quelli venuti dall’inferno della guerra, uno che non aveva paura di niente, neanche di far male a un bambino. In realtà quello nell’Alfa era Spud, che al momento meno opportuno si addormentò come una vecchia in chiesa, ma il Professore ci cascò e accettò di firmare l’autentica, ma impose una condizione: il quadro lo avrebbe scelto lui.
Spesi una fortuna in cataloghi di artisti minori del novecento, poi chiesi ad un ragazzino che comprava il fumo da noi e che faceva l’accademia, se se la sentiva di fare qualche schizzo; il bamboccio quasi si commosse, non poteva credere che lo pagavano per dipingere e in più poteva fumare gratis, infatti sparse la voce tra i suoi amici e le sue amiche, e per una ventina di giorni l’ufficio di via dei Cessati Spiriti diventò una comune sotto il segno di Warhol. Sfornavamo falsi più di una fabbrica cinese, ma il Professore li bocciava tutti, cominciai a pensare che mi stesse prendendo per il culo, che quello della scelta del quadro era un trucco, ma non era così, non era quello il trucco; alla fine scelse una tela ispirata allo stile di un iperrealista americano, raffigurava un bambino africano seduto a terra, uno come quelli che si vedono in tv, con la pancia gonfia e le mosche sul viso. E uno sguardo maledettamente incazzato, uno sguardo che fissava negli occhi chi stava guardando il quadro.
Eleonora non riuscì a piazzarlo, allora cominciai a portarmelo dietro quando andavo a giocare. Improvvisamente parlare di lavoro per il me mercante d’arte non fu più un problema, tenevo la tela in macchina, come un rappresentate il suo depliant, ma era inutile, appena lo vedevano cambiavano idea, anche quelli che di arte ne capivano meno di me e compravano solo per il gusto di sperperare, anche quelli scuotevano il capo. L’ultima spiaggia fu Carlito e il suo giro di ricettatori, ma fu inutile. Il Professore ci aveva fottuto; aveva scelto un quadro invendibile, ma non perché fosse fatto male, ma al contrario perché era fatto troppo bene, aveva scelto un quadro che sfiorava la coscienza.
La tela la regalai a Eleonora quando mi lasciò… oppure mi lasciò quando le regalai la tela, ora mi sfugge…
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Quello non ero io by Barabba Marlin is licensed under a Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Unported License.
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