Questa non puoi chiamarla giustizia
Da Mammapiky
@mammapiky
I fatti di Milano hanno sconvolto tutti, addetti ai lavori e non. C'è stata tanta solidarietà per le vittime e le rispettive famiglie, si è manifestata rabbia per l'impotenza di fronte a certi eventi e non sono mancate un bel po’ di polemiche sul perché è sul per come sia potuto accadere un fatto così grave. Perché non si vigila? E se si vigila, lo si fa correttamente? Di chi è la colpa? Cosa si poteva fare e non si è fatto? Chi ne pagherà le spese? Soprattutto c'è qualcuno che le pagherà e non solo in termini economici?Il fatto è che, quel che è successo al Tribunale di Milano, sarebbe potuto accadere in qualsiasi altro ufficio pubblico, ma anche in una piazza, in un museo, un supermercato, o in qualunque altro posto. Non c'è luogo in cui si è al sicuro, se la follia può passeggiare indisturbata. Qualche anno fa, un evento molto simile accadde nel palazzo della Regione della mia città e ne fecero le spese due impiegate. Fu lo spunto per mettere delle regole d'accesso agli uffici, tesseramento all'entrata e metaldetector. Eppure questi strumenti al Tribunale di Milano c'erano già e non hanno fermato la follia omicida. Allora cos'è che non va? Cosa non funziona?È difficile dire cosa alberghi nella mente umana, quanto l'instabilità emotiva possa portare a compiere gesti estremi e cosa si possa fare per prevenire e fermarla. Non credo esistano rimedi in assoluto validi, tutti i sistemi di sicurezza devono avere almeno una crepa, altrimenti sarebbe trappole, e comunque nella maggior parte dei casi è la disperazione che arma le mani d’insospettabili. Non è mia intenzione scusare, giustificare o capire l'autore di un dramma come questo, e non conoscono a sufficienza la sua storia, per poter azzardare anche solo delle ipotesi, di sicuro la "bancarotta fraudolenta" non è un reato che ti capita tra capo e collo, ci metti del tuo per arrivarci e trascini con te tante altre persone, spesso ignare, però di quello che succede nelle aule di tribunali, ho una vaga idea e questo è un dramma molto più forte della carenza di metal detector o sviste nei tesserini e che, evidentemente, da soli non bastano a proteggere "la vita".La giustizia italiana sta male, soffre di una malattia probabilmente irreversibile e sempre più spesso, baratta la verità con l'affermazione di potere. Dentro quelle aule si decide il destino della gente e nella maggior parte dei casi, lo si fa senza cognizione di causa. "La legge è uguale per tutti", è una teoria che spesso fa a pugni con la pratica. La giustizia quando arriva e se arriva, lo fa con così tanto ritardo, che ha lo stesso sapore della sconfitta. I processi durano decenni, per nulla, rinvii da udienza a udienza, di mesi, a volte anni, senza un perché e decisioni che passano da un giudice all'altro come una palla che scotta così tanto, che nessuno vuole ritrovarsela in mano a gioco finito. C'è un meccanismo infernale fatto di cavilli che i poveri cristi, non capiscono...non lo capisco nemmeno io. Nelle aule di tribunale spesso s’insabbia, si prevarica, si gioca con le parole e si prova a farla franca, il "bravo avvocato" è quello che tira fuori dai guai un colpevole certo, il giudice da sostenere, spesso è un garantista, gli altri in genere vengono "silurati". Le segreterie perdono documenti, si scordano le notifiche e vanno alla stessa velocità di una moviola. Le pene sono solo nei codici. Nei tribunali c'è sempre "l’amico di" che può farti un favore se glielo chiedi, ma se ti chiami "Mario Rossi" probabilmente non ti ascolterà nessuno. Un avvocato all'inizio della propria carriera giura "di adempiere i doveri professionali con lealtà, onore e diligenza per i fini della giustizia e per gli interessi superiori della Nazione." Sullo stesso filone giurano patrocinatori, giudici e magistrati e per tutti quelli che di queste parole ne hanno fatto una bandiera, ce ne sono altrettanti che se le sono presto dimenticate. Lealtà, onore e giustizia si perdono tra i lunghi corridoi e le polverose aule, si perdono tra i giorni passati lì dentro, che diventeranno presto mesi e subito dopo anni, davanti a qualcuno che deciderà per te e su di te ma che spesso non saprà nemmeno come ti chiami. Questa non la puoi chiamare giustizia e per evitare che fatti come quelli di Milano, si ripetano, io comincerei da qui.
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