Ecco allora che "Questione di Tempo" assume una conformazione piuttosto distante dai titoli che hanno contribuito a far eleggere il regista inglese tra i padri assoluti della rom-com, si serve di un elemento ordinariamente fantascientifico ma soprattutto approccia alle situazioni in una maniera assai più realistica e concreta, capace di farsi largo prepotentemente rifuggendo con volontarietà da quei canoni favolistici per sognatori troppo intrisi di lacrime e sentimenti. Ogni cosa parte infatti da quando il protagonista, interpretato da Domhnall Gleeson, non appena compiuti ventun'anni viene informato dal proprio padre di essere ereditario genetico di una abilità alquanto straordinaria, la quale gli permette di viaggiare nel tempo attraverso i ricordi, potendo cambiare il corso degli eventi rivivendoli da capo. Così, una volta testata la reale esistenza del suo potere e scansata la diffidenza, la prima cosa che decide di fare è quella che suo padre, un favoloso Bill Nighy, considera la più complicata in assoluto: trovarsi una ragazza.
Riparte da qui allora Curtis, dall'amore, dall'elemento che ha sempre considerato motore dell'essere umano, lo fa con l'intenzione di andare oltre però, di non vederlo più come un traguardo ma come una delle infinite tappe di una vita difficile per definizione, impossibile da alleggerire neppure se dotati di poteri sovrannaturali. E' l'elaborazione del vissuto di un uomo - ovviamente Curtis stesso - che ha voglia di condividere col mondo il suo concetto di vita, di confidare esperienze ed insegnamenti e devolvere a chiunque la possibilità di godere appieno di un dono che spesso sfugge di mano o a cui si rischia di non dare meritata cura e valore. Ed è in questo aspetto che la poetica cinematografica del regista inglese fa un passettino in avanti, nel preciso istante in cui va a rivedere il concetto di motore vitale giudicandolo imperfetto se non provvisto dell’attitudine di assaporare fino all'ultima goccia ogni singolo secondo, ogni singolo giorno, che ci è stato concesso.
Perché, diciamolo, ormai lo conosciamo abbastanza Richard Curtis, sappiamo che è una persona splendida, pura, una persona che sull'amore e sugli affetti ha costruito le basi solide della sua felicissima vita e che, per questo, vorrebbe che noi tutti facessimo altrettanto.
Di conseguenza è normale che, al sottoscritto, ogni volta che in un suo film appare la famosa scritta the end vien voglia di asciugarsi gli occhi e di inviargli un abbraccio, poco importa che sia spirituale o immaginario, in fondo serve solo per poterlo ringraziare. Ringraziare di esistere, sia nelle vesti di uomo che in quelle d’autore.
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