Chip ce l’aveva detto di non uscire. Non sfidate la sorte ragazzi, aveva detto. Ma era stata una nottataccia e ci girava ancora la testa per via del cancherone. Costava poco l’acquavite dei contadini, ma scorticava le budella, e non aveva neanche un bell’aspetto, scura e melmosa nella bottiglia come acqua di palude.
Eravamo stravaccati in casa, le finestre tappate dalle lenzuola, ma un’alba di fuoco penetrava lo stesso nelle stanze e ti copriva la pelle come uno straccio caldo. Un paio d’ore prima eravamo ancora in quello studio nei vicoli. Un bugigattolo, un covo di spettri, più che un posto per far musica, i caloriferi sibilanti di vapore, le bottiglie che rotolavano sul pavimento sconnesso. Le sigarette ardevano come buchi rossi nel buio e fu questo a farmi capire che Hiero non era soddisfatto: il fumo immobile, la sigaretta incollata sulle sue labbra. Facevamo su e gi’ù nella stanza, fra un pezzo e l’altro, e si sentivano le corse dei topi sul soffitto. Dio, se eravamo tesi! Forse non facevamo proprio schifo, ma io mi sentivo fuori fase. Troppo nervoso, troppo distratto, troppo preso a fissare la porta. Per non parlare del cancherone e della clausura dello studio. Non riuscivo a lasciarmi andare. Mettevo l’anima in ogni nota, ma alla fine Hiero graffiava il disco e lo buttava nel cestino.
…
Una storia avvincente ricca di personaggi ben disegnati quella di Questo suono è una leggenda. Una delizia stilistica che è però molto più di un esercizio di stile.
Esi Edugyan, Questo suono è una leggenda, traduzione di Massimo Ortelio, Neri Pozza, 2013.