“Quiet. Il potere degli introversi in un mondo che non sa smettere di parlare” di Susan Cain: l’era della personalità

Creato il 04 settembre 2014 da Alessiamocci

Quiet. Il potere degli introversi in un mondo che non sa smettere di parlare (Bompiani, 2012) è un saggio stimolante, una sentita e rigorosa difesa, portata avanti con coraggio dall’avvocato americano Susan Cain, di una parte dell’umanità, quella più silenziosa, che non ama clamori ma senza la quale il mondo sarebbe più povero di idee, di cultura e di innovazioni.

Sapevate che se nel mondo non fossero mai esistiti gli introversi noi non avremmo avuto pietre miliari del sapere e della tecnologia come la teoria della relatività, Google, o le opere di Orwell? Non pensate che senza tutto questo saremmo umanamente più “piccoli” e meno preparati ad affrontare le sfide del futuro?

Susan Cain, avvocato dalla scrittura fluida e coinvolgente stila un vero e proprio manifesto per la “sopravvivenza” degli introversi in una realtà che pare fatta su misura per le personalità esuberanti.

L’autrice parte da un gesto eclatante che cambiò la storia degli Stati Uniti: il famoso “no” di Rosa Parks nel 1955. Una donna sola, mite, introversa che si oppose con pacatezza, con gentile fermezza alla segregazione razziale e agli abusi di potere compiuti attraverso essa.

Oggi ricordiamo molto più Martin Luther King e il suo “I have a dream (giustissimo, perché King fu un pioniere in questa lotta, un leader, appunto), ma non rammentiamo con la stessa forza il sommesso diniego di Rosa. Perché?

In parte l’ho già detto: perché King era un uomo capace di avvincere la folla e trascinarla, un estroverso, mentre Rosa l’esatto opposto. Proprio questo, però, deve spingerci alla riflessione; Susan Cain ci spiega, attraverso l’analisi di questi personaggi e di altri incontrati durante i suoi anni di ricerca, che introverso non è sinonimo di timido.

Chiariamo una cosa: gli introversi e gli estroversi non sono due categorie divise da sbarre di metallo, né pezzi di una scacchiera, tutti neri o tutti bianchi; Susan ci tiene a farci comprendere che la complessità umana si esplica anche attraverso la personalità. Dunque non esistono esseri umani completamente estroversi o del tutto introversi, ma esistono delle sfumature (lasciamo da parte i casi particolari di asceti o eremiti).

Gli studiosi, però, concordano su un punto: gli estroversi hanno bisogno di stimoli esterni, si “ricaricano” stando in mezzo alla gente, mentre gli introversi sono dei pensatori che si nutrono di solitudine e creatività e a cui un’eccessiva esposizione in società non fa sempre bene, in quanto li prosciuga dal punto di vista emotivo.

Ho detto una parola che a molti non piace e sulla quale Susan Cain si dilunga, perché ingiustamente ammantata da un velo di negatività: solitudine. Ora, è ovvio che esclusi le note eccezioni la solitudine non ha nulla di strano, anzi, può essere un vantaggio, perché da essa nascono le idee più produttive.

La scrittrice non fa mistero del fatto che la nostra società ci voglia tutti esuberanti, perfetti, brillanti ed estroversi ventiquattro ore al giorno. Chi non si uniforma viene visto come “diverso”, perché la nostra è diventata una realtà velocissima, in cui non si deve riflettere, ma parlare il più possibile, avere sempre la risposta pronta, quasi fossimo una sorta di automi che devono vomitare parole per vivere, anche se prive di un profondo significato.

La modernità si basa sulla cultura (io direi “culto”) della personalità, come ci spiega Cain, in cui bisogna assolutamente piacere al più alto numero possibile di persone, fare la cosiddetta “bella figura” e qualcuno che non sorride subito o decide di sospendere il giudizio per formarsi un’opinione non è ben visto in un mondo tutto sorrisi e allegria (che sia tutto finto, poco importa).

Fin da piccoli siamo incoraggiati a essere espansivi al massimo, ad avere decine di amici, a preferire il lavoro di gruppo a quello individuale, a scuola e in casa.

Qui sta l’errore secondo Susan Cain; non siamo incoraggiati a sviluppare pienamente la nostra individualità, ma molti studi dimostrano che gli introversi, sul lavoro e in famiglia, non hanno nulla da invidiare agli estroversi. Sono due modi diversi di affrontare la vita, ma  uno non esclude l’altro.

Leggendo il libro mi sono resa conto ancor di più di quanto sia importante conoscere se stessi, di quanto la famosa (talvolta abusata) frase “sii te stesso” rappresenti un valore a cui non possiamo rinunciare per compiacere gli altri. Certo, non è facile applicare ciò a tutti i contesti dell’esistenza, ma vale la pena provarci con la stessa pacatezza che contraddistinse Rosa Parks, seduta al suo posto in quel primo giorno di dicembre di tanti anni fa.

Susan Cain ci spiega come fare e, benché il suo libro analizzi in gran parte il carattere americano, può benissimo essere applicato all’intero mondo occidentale. Una piccola digressione che, in realtà, tanto digressione non è, ma frutto di pensieri che il libro mi ha ispirato e che vorrei condividere con voi, avendo magari il vostro parere.

Viviamo in un mondo confuso più che mai, in cui le voci urlano e non parlano, aggrediscono ma non supportano idee concrete, vogliono sovrastare anche se non hanno nulla da dire. Perché? Per il semplice gusto di dire “Io sono più forte”, “Mi metto in mostra, dunque esisto”, ciò che gli introversi non amano affatto fare e non per questo devono essere giudicati o demonizzati, come la Cain spiega.

Ragionando su questi concetti mi è venuta in mente la portata del fenomeno dei social network. Pensiamoci un attimo: in questi grandi contenitori di materiale, notizie e condivisioni, (mezzi potenti, lo ricordo, né buoni né cattivi, semmai spesso usati male) molti si spintonano virtualmente ostentando la sicurezza che, a volte, nella realtà non hanno. Tutto per piacere, per “farsi notare”, esasperando l’essenza dell’estroversione, ostentandola per tentare di fare una buona impressione (benché non tutte le ciambelle riescano col buco).

I social network, spesso, sono finiti nell’occhio del ciclone anche per epici scontri e gigantesche polemiche in cui chi si ritiene più esuberante e più forte cerca di prevaricare chi per natura tende a evitare simili circostanze e a sottrarsene.

I social network, per molti versi, diventano lo specchio della nostra società che punta, talvolta, un po’ troppo sulle apparenze e su quelli che urlano più forte (in quest’ultimo caso la televisione non migliora le cose).

Uno studio del Pew Research Center svela, però, che le persone attive su Facebook o Twitter, al di là della loro natura introversa o estroversa, vogliono sempre avere ragione e, per questo, sono più portate a parlare di argomenti importanti quando sanno di poter contare su molti sostenitori e pochi oppositori.

Questo vuol dire che vogliamo essere tutti protagonisti, che non sappiamo più dialogare ma solo fare monologhi? I dati azzerano, in questo caso, le differenze tra introversi ed estroversi? Forse non facciamo altro se non ciò che la cultura della personalità ci richiede?

Voi che ne pensate? Quanto conta la presenza di uno schermo per estroversi e introversi? Esistono ancora dei pregiudizi su questi ultimi? E l’universo dei social network favorisce gli estroversi o è solo apparenza? Quali sono le vostre esperienze da estroversi e introversi nel mondo reale e in quello virtale?

Written by Francesca Rossi

Info

Sito Susan Cain

Studio Pew Reasearch Center

Articolo originale della ricerca


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