Rabbia Vado sulla porta del giardino, un piccolo infossato cunicolo di pietra al piano terra, contro il suburbano orto, rimasto li dai giorni di Mameli, coi suoi pini, le sue rose, i suoi radicchi. Intorno, dietro questo paradiso di paesana tranquillità, compaiono , le facciate gialle dei grattacieli fascisti, degli ultimi cantieri: e sotto, o!tre spessi lastroni di vetro, c'è una rimessa, sepolcrale. Sonnecchia ., al bel sole, un po' freddo, il grande orto con la casetta in mezzo ottocentesca, candida, dove Mameli è morto, e un merlo cantando, trama la sua tresca. Questo mio povero giardino, tutto di pietra... Ma ho comprato un oleandro nuovo orgoglio di mia madre e vasi di ogni specie di fiori, e anche un fraticello di legno, un putto obbediente e roseo, un po' malandro, trovato a Porta Portese, andando a cercare mobili per la nuova casa. Colori, pochi, la stagione è così acerba: ori leggeri di luce, e verdi, tutti i verdi... Solo un po' di rosso, torvo e splendido, seminascosto, amaro, senza gioia: una rosa. Pende umile sul ramo adolescente, come a una feritoia, timido avanzo d'un paradiso in frantumi... Da vicino, è ancora più dimessa, pare una povera cosa indifesa e nuda, una pura attitudine della natura, che si trova all'aria, al sole, viva, ma di una vita che la illude, e la umilia, che la fa quasi vergognare d'essere così rude nella sua estrema tenerezza di fiore. Mi avvicino più ancora, me sento l'odore... Ah, gridare è poco, ed è poco tacere: niente può esprimere una esistenza intera! Rinuncio a ogni atto... So soltanto che in questa rosa resto a respirare, in un solo misero istante, l'odore della mia vita: l'odore di mia madre... Perché non reagisco, perché non tremo di gioia, o godo di qualche pura angoscia? Perché non so riconoscere questo antico nodo della mia esistenza? Lo so: perché in me è ormai chiuso il demone della rabbia. Un piccolo, sordo, fosco ; sentimento che m'intossica esaurimento, dicono, febbrile impazienza dei nervi: ma non ne è libera più la coscienza. Il dolore che da me a poco a poco mi aliena, se io mi arrabbio appena, si stacca da me, vortica per conto suo, mi pulsa disordinato alle tempie, mi riempie il cuore di pus, non sono più padrone del mio tempo... Niente avrebbe potuto, una volta, vincermi. Ero chiuso nella mia vita come nel ventre materno, in quest' ardente odore di umile rosa bagnata. Ma lottavo per uscirne, là nella provincia campestre, ventenne poeta, sempre, sempre a soffrire disperatamente, disperatamente a gioire... La lotta è terminata con la vittoria. La mia esistenza privata non è più racchiusa tra i petali d'una rosa, una casa, una madre, una passione affannosa. È pubblica. Ma anche il mondo che m'era ignoto mi si è accostato, familiare, si è fatto conoscere, e, a poco a poco, i mi si è imposto, necessario, brutale. Non posso ora fingere di non saperlo: o di non sapere come esso mi vuole. Che specie di amore conti in questo rapporto, che intese infami. Non brucia una fiamma in questo inferno di aridità, e questo arido furore che impedisce al mio cuore di reagire a un profumo, è un rottame della passione... A quasi quarant'anni, io mi trovo alla rabbia, come un giovane che di sé non sa altro che è nuovo, e si accanisce contro il vecchio mondo. E, come un giovane, senza pietà o pudore, io non nascondo questo mio stato: non avrò pace, mai. P.P.Pasolini
Rabbia Vado sulla porta del giardino, un piccolo infossato cunicolo di pietra al piano terra, contro il suburbano orto, rimasto li dai giorni di Mameli, coi suoi pini, le sue rose, i suoi radicchi. Intorno, dietro questo paradiso di paesana tranquillità, compaiono , le facciate gialle dei grattacieli fascisti, degli ultimi cantieri: e sotto, o!tre spessi lastroni di vetro, c'è una rimessa, sepolcrale. Sonnecchia ., al bel sole, un po' freddo, il grande orto con la casetta in mezzo ottocentesca, candida, dove Mameli è morto, e un merlo cantando, trama la sua tresca. Questo mio povero giardino, tutto di pietra... Ma ho comprato un oleandro nuovo orgoglio di mia madre e vasi di ogni specie di fiori, e anche un fraticello di legno, un putto obbediente e roseo, un po' malandro, trovato a Porta Portese, andando a cercare mobili per la nuova casa. Colori, pochi, la stagione è così acerba: ori leggeri di luce, e verdi, tutti i verdi... Solo un po' di rosso, torvo e splendido, seminascosto, amaro, senza gioia: una rosa. Pende umile sul ramo adolescente, come a una feritoia, timido avanzo d'un paradiso in frantumi... Da vicino, è ancora più dimessa, pare una povera cosa indifesa e nuda, una pura attitudine della natura, che si trova all'aria, al sole, viva, ma di una vita che la illude, e la umilia, che la fa quasi vergognare d'essere così rude nella sua estrema tenerezza di fiore. Mi avvicino più ancora, me sento l'odore... Ah, gridare è poco, ed è poco tacere: niente può esprimere una esistenza intera! Rinuncio a ogni atto... So soltanto che in questa rosa resto a respirare, in un solo misero istante, l'odore della mia vita: l'odore di mia madre... Perché non reagisco, perché non tremo di gioia, o godo di qualche pura angoscia? Perché non so riconoscere questo antico nodo della mia esistenza? Lo so: perché in me è ormai chiuso il demone della rabbia. Un piccolo, sordo, fosco ; sentimento che m'intossica esaurimento, dicono, febbrile impazienza dei nervi: ma non ne è libera più la coscienza. Il dolore che da me a poco a poco mi aliena, se io mi arrabbio appena, si stacca da me, vortica per conto suo, mi pulsa disordinato alle tempie, mi riempie il cuore di pus, non sono più padrone del mio tempo... Niente avrebbe potuto, una volta, vincermi. Ero chiuso nella mia vita come nel ventre materno, in quest' ardente odore di umile rosa bagnata. Ma lottavo per uscirne, là nella provincia campestre, ventenne poeta, sempre, sempre a soffrire disperatamente, disperatamente a gioire... La lotta è terminata con la vittoria. La mia esistenza privata non è più racchiusa tra i petali d'una rosa, una casa, una madre, una passione affannosa. È pubblica. Ma anche il mondo che m'era ignoto mi si è accostato, familiare, si è fatto conoscere, e, a poco a poco, i mi si è imposto, necessario, brutale. Non posso ora fingere di non saperlo: o di non sapere come esso mi vuole. Che specie di amore conti in questo rapporto, che intese infami. Non brucia una fiamma in questo inferno di aridità, e questo arido furore che impedisce al mio cuore di reagire a un profumo, è un rottame della passione... A quasi quarant'anni, io mi trovo alla rabbia, come un giovane che di sé non sa altro che è nuovo, e si accanisce contro il vecchio mondo. E, come un giovane, senza pietà o pudore, io non nascondo questo mio stato: non avrò pace, mai. P.P.Pasolini