Il problema è che nei salotti considerati buoni, in quelle amabili scene di convivio dove non si fuma ma ci si scopa le mogli, sei di fatto obbligato scegliere l’una o l’altra; non si sfugge al posizionamento coatto imposto dalla buona società, come non aiuta fingersi benevoli a prescindere e aspettare il momento buono per riempirsi il bicchiere di anestetico.
Hai un bel dire che sono entrambi escrementi culturali dei valori con cui siamo stati nutriti nell’infanzia: gli altari, le bandiere, le bufale che promettono ai polli di volare come angeli nell’aldilà, i sogni di gloria di galli e galline dei piani alti. Superbia e umiltà sono la stessa merda che intossica la mente, dura come un monolite che si staglia nel cielo azzurro la prima, un impasto di pavida invidia l’altra, molle come i coglioni dei malati, puzzolente come la povertà. Le regole del gioco sono queste e se non le accetti non puoi che essere un superbo, un individuo che si crede al di sopra di tutto, anche di dio nei casi più gravi.
Superbo o umile sono entrambi rifiuti tossici del metabolismo mentale, spazzatura della peggiore specie insomma, ma diversamente quotata al mercato delle vacche, e ciò crea qualche problema di coscienza a chi non ha avuto la fortuna (?) di nascere Lapo. Rifiutare gli schemi non paga, ed è inutile promuovere il concetto che ognuno fa ciò che gli pare e che tutti hanno lo stesso diritto di cittadinanza sotto il sole; nemmeno il pensiero che siamo granelli polvere temporaneamente illuminati da un raggio di luce riesce ad assolvere gli orfani della domenica.
Devi scegliere: o la sana e pulita solitudine del dissenso, che non mancherà di farti apparire come un individuo egoista, sprezzante degli altri, superbo, oppure ti scegli una rassicurante etichetta industriale che dica tutto tranne quello che realmente sei.
Non so voi, ma preferisco essere tacciato di superbia piuttosto che rivolgere l’ossequioso naso alle terga di chicchessia, incluso dio.
Arvales presenta un nuovo intervento: Raccolta differenziata: superbia e umiltà