Raccontare i Videogame. Storie di un mondo che non si ferma mai

Da Twagomagazine @lorenzomonfreg

Abbiamo intervistato Mario Petillo, caporedattore di GameSource.it, rivista online di videogame, che ci ha raccontato l’entusiasmante e complesso mondo delle redazioni online…

GameSource è una realtà ormai affermata da anni nel campo dei videogame, quando avete iniziato e cosa vi ha spinto a partire col vostro progetto?

Venivamo da un’esperienza soddisfacente su FFonline.it, il primo portale in Italia per numeri e contenuti dedicato alla saga di Final Fantasy, un prodotto del mercato giapponese di grande rispetto e storia. La necessità di espandersi era quindi all’ordine del giorno e quando ci siamo ritenuti maturi e il mercato ce l’ha permesso abbiamo deciso di allargare i nostri orizzonti e raccogliere l’intero panorama videoludico piuttosto che una sola saga. L’essere audaci ci ha premiati.

Il vostro magazine online colpisce per la sua versatilità, di ogni console o device proponete news, recensioni, anteprime, trucchi e soluzioni e vi occupate anche di film. Si tratta di una strategia per raggiungere il maggior numero di utenti o c’è di più? 

C’è un forte desiderio di abbracciare l’intrattenimento visivo nella sua totalità e interezza. Spesso si pensa che recensire un videogioco sia cosa da tutti e da tutti i giorni, come un articolo di calcio. Parlare di videogiochi è un po’ come fare una fotografia, con le dovute differenze: lo fanno tutti, ma è palese quando lo fa un professionista e quando un amatoriale. Noi nel colpire la versalità non vogliamo puntare alla quantità senza qualità, ma vogliamo dare alla nostra utenza la possibilità di avere un quadro generale preciso di ciò che accade intorno a sé. Inoltre il confine tra videogioco e film è sempre più labile, quindi il passaggio era abbastanza inevitabile.

Quali sono le figure indispensabili per gestire una rivista di questo tipo? Di quante persone si compone il vostro staff? Fate ricorso o avete fatto ricorso in passato a freelance?

Ricollegandomi al discorso di prima che specificava come recensire e parlare di videogiochi fosse settoriale, chiarisco che la figura del freelance non sempre ci è andata a genio. Siamo soliti accogliere nella nostra redazione, composta da circa 30 membri al momento, collaboratori che in un lungo percorso sono desiderosi di migliorarsi e crescere seguendo le nostre indicazioni. Ovviamente anche noi miglioriamo insieme con loro. Affidarci a esterni saltuari non ci permetterebbe di crescere e verrebbe meno al concetto portante della nostra linea editoriale: migliorarsi. Le figure indispensabili sono poi, oltre che dei grandi appassionati di videogiochi, almeno quattro persone, che attualmente sono presenti, capaci di fare da motivatori e da spronatori anche nei momenti più difficili: delle vere guide spirituali. E poi servono anche dei programmatori e analisti capaci di proporre sempre più novità: non si vince senza innovazione in questo mercato.

Qual’è la sezione maggiormente visitata e qual’è l’utente medio che visita ogni giorno GameSource.it?

L’utente medio che visita GameSource è atipico. Siamo riusciti negli anni a confermare un’utenza abbastanza esigente e quasi più di nicchia che altro, grazie anche all’esperienza già citata di FFonline. La sezione maggiormente visitata resta, però, quella delle guide e delle soluzioni: essendo un prodotto che in Italia offrono in pochi, rimane un punto saldo e fermo della nostra editoria, assoutamente da potenziare sempre più nel corso degli anni.

Si parla di crisi dell’editoria classica, come se la sta cavando la vostra realtà digitale?

Permettimi di dire che la crisi dell’editoria classica è la peggior malattia che poteva colpirci. L’editoria digitale, per quanto innovativa, ha completamente distrutto il concetto meritocratico del lavoro: ora chiunque suppone di poter fare giornalismo o editoria. Basta un blog. Un tempo era diverso. Anche in questo la realtà digitale presto avrà dei grandi problemi: avremo tutti la presunzione di poter scrivere e nessuno quasi leggerà più. La nostra realtà quindi è chiamata a offrire sempre una risposta alla domanda “perché dovrei leggerti?” proponendo contenuti unici, interessanti e approfondimenti che tocchino sempre più il concetto di editoriale piuttosto che di semplice articolo di reportage. Bisogna mostrare il mondo con degli occhi diversi dalla massa.

In che direzione sta andando il mondo dei videogame, quali sono i giochi più popolari e i dispositivi maggiormente utilizzati?

Se da un lato sta diventando sempre più cultura, grazie anche alle novità apportate in questi anni in Italia tra cui anche il VIGAMUS, il museo dei videogiochi situato a Roma, da un lato si sta impoverendo. Il mercato del mobile, in particolar modo degli smartphone, sta prendendo il sopravvento e proponendo titoli di scarsa profondità contenustica, ma di grande riuscita per il ritorno economico, e sta piano piano appiattendo la realtà videoludica. Potremmo usare proprio la saga di Final Fantasy per fare un esempio: dieci anni fa si attendeva con ansia l’uscita di un capitolo che avrebbe per l’ennesima volta donato un’esperienza unica e indimenticabile. Ora, invece, escono così tanti videogiochi che sei anche costretto a correre per stare dietro al mercato. Ho una lista di 57 titoli ancora da finire e altri che non ho nemmeno ancora tolto dal cellophane. E sono sicuro che tra questi soltanto tre o quattro mi doneranno le stesse emozioni che poteva darmi un gioco di, che so, 6 anni fa. Serve una svolta artistica anche in questo.

Secondo voi smartphone, tablet e app videogioco rappresentano una concorrenza reale per le console portatili? 

Assolutamente sì. Lo stesso social game ha dimostrato di poter rappresentare una concorrenza per il mercato videoludico in toto. E gli stessi sviluppatori fanno presente che alla base del loro sviluppo c’è l’idea di voler competere in maniera quasi sleale con la restante parte del mercato: Farmville, uno degli esempi più eclatanti, è uno dei tanti modi per proporre un modo di videogiocare diverso dal normale e aperto a tutti. Il fenomeno di Ruzzle è un altro esempio lampante per il nostro mercato: basta prendere un qualsiasi mezzo pubblico a Milano e si sentirà il jingle di Ruzzle. Almeno a Tokyo continuano a giocare con la PsVita e con il 3DS. E la speranza è che il videogioco possa tornare a domare tutte le critiche che non lo configurano come arte.

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