Da: ANANTA DELLE VOCI BIANCHE di Angela Passarello
(I Quaderni di Correnti, 2008)
illustrazioni di Laura Frova
Scrive Giampiero Neri nella breve introduzione:
I ricordi e le immagini che Angela Passarello ha fin’ora custodito nella sua memoria, hanno preso forma in queste pagine di racconti. Vengono da un paesaggio antico e rurale, che unisce la suggestione di un passato illustre con la presenza viva e misteriosa della natura.
Protagonisti di questi racconti sono gli animali che ci sono familiari, ma anche quelli più nascosti e remoti, come gli uccelli notturni e i pesci.
Rivivono tutti nelle pagine dell’autrice, che li descrive con pochi tratti, dentro qualche loro vicenda essenziale.
Sembrano una galleria di ritratti, alcuni più noti altri oscuri, che guardano sorpresi da un tempo che è quello della poesia.
La capra
Immobile davanti alla mangiatoia,la capra respirava appena. La luce,attraverso le fessure della vecchia finestra,si rifletteva sul pelo liscio del suo dorso e sulla paglia umida del pavimento della stalla,creando intorno all’animale chiaro-scuri fiamminghi. Dalla porta d’entrata non si vedevano né il muso né gli occhi. Le striature marrone inconfondibili, che dal muso le scorrevano lungo il collo, emergevano sul suo pelo bianco. Ma sotto la coda, dalla vagina, pendeva tra le cosce un involucro trasparente, un peso immobile, mortale. Non era riuscita a liberarsene da sola. Sempre più opaca, la luce lentamente svaniva coprendo di nero la mangiatoia. Il corpo immerso nella notte scompariva a poco a poco tra le ombre. La stalla restava pietrificata. Le corna, appese ad un chiodo come due antenne, sembravano indicare la costellazione.
La mucca
L’enormità degli occhi esprimeva la mansuetudine del suo sguardo così come la sua mole ancorata al terrestre. Il muggito pacifico sembrava il richiamo di una sorda campana. Appariva mastodontica anche la sua lingua, le cui leccate cospargevano d’umido la pelle del vitello appena partorito. Quando veniva munta,immobile, continuava a ruminare. Di giorno si lasciava montare,muovendo il vello liscio e dorato. Possente come una montagna,il muggito richiamava la quiete. La sua figura sovrastava la punta della rupe evocando i custodi di pace, presenti in tempi remoti in quell’altura. La sera gli occhi fendevano l’oscurità e annottavano insieme alle ombre. Da vecchia, trasportata su un carro, guardava lontano un punto inarrivabile alla veduta razionale e con l’ultimo muggito raggiungeva quegli spazi dove la sua immagine idolatrata sarebbe sopravvissuta a una morte solo apparente.
L’asina
Quando l’asina era stata abbattuta, il corpo, deposto sotto la rupe, ancora caldo fremeva. Si sparse la voce. Tutti sapevano dove trovarla. In tanti si accalcarono per portarne via un pezzetto. Dalla finestra, nella notte, il padrone intravide ancora un susseguirsi di torce, un vocio sommesso che spariva nella discesa, nella direzione dove la vittima li aveva attirati. Allora chiuse le imposte per non sentire i passi né vedere ancora illuminata la strada. Soltanto al mattino decise di aprire la finestra. Nel silenzio del giardino, attaccata ad un chiodo, la sella sembrava un feticcio. Sotto la rupe invece trovò tra l’erba calpestata la sua coda, accanto ad un tronco rinsecchito. Sembrava ragliasse. La seppellì. Sopra la terra lasciò inclinato un ramo come segnale di croce.
La cagna
La cagna custodiva la casa. Sembrava mansueta, ma quando Filomena attraversò la strada, l’aggredì e le morse una gamba. La cagna davanti ai suoi padroni mostrò gli occhi lucidi. Non venne punita. Da quel giorno e per molto tempo rincorse per gioco gli animali del cortile . Un anno dopo, rimasta incinta di un bastardo a pelo corto, si rifugiò nella stalla fino al momento del parto. Poi, lasciati a terra brandelli della sua cucciolata, con gli occhi maculati, per diverse notti vagò nelle tenebre della campagna. Di lontano si udivano i suoi latrati. Al tramonto la trovarono distesa accanto al carrubo. Sembrava dormisse.
La gatta
Crebbe felina e, nonostante fosse stata nutrita da una cagna, adorava il sapore dei topi. Rosso tigrata si aggirava per la campagna. Al ritorno vezzeggiava tra le zampe una lucertola fino a procurarle la morte, poi la lasciava preda di formiche e mosconi. Il muso femmineo, pronto a mostrare i canini per difendersi da qualsiasi attacco, restava incorniciato dalle pupille verdi maculate di giallo. Come per gioco s’arrampicava sugli alberi o sui pali della luce elettrica, per ridiscendere poi strisciando come un serpente in agguato. Altre volte di notte somigliava ad un gufo, appollaiato sul tetto, per nutrirsi del giallo di luna. In casa, poiché non amava le grida, si alzava con fare di tigre fissando severa il volto di chi aveva interrotto il suo sonno. Soltanto la musica sembrava guarirla da quelle sue puntate in campagna, dove lo sterminio di alcuni animali avveniva per la pura gioia della caccia. Si accorsero che la sua fisionomia mutevole, se lasciata libera, mostrava i suoi aspetti più puri. Così, a volte canina, scodinzolava e faceva le fusa . A vederla sembrava soltanto una gatta, ma nel quadro di famiglia il suo sguardo dilatato indicava lontano altri aspetti sconosciuti della natura animale.
La formica nera
Il carico sormonta il corpo come una montagna in miniatura. Esile appare nell’esodo estivo lungo la linea nera che la conduce alla tana. Così come un segno geometrico percorre vie e grattacieli. Come una nota caduta vacilla, risuona, mentre con passo misurato segue in coda le sue simili. D’ inverno si sottrae alla luce. Rimane chiusa nell’apparente oscurità della sua dimora.
Angela Passarello è nata ad Agrigento. Risiede a Milano dove insegna. Ha pubblicato la raccolta di racconti Asina Pazza (Greco& Greco,1997) la raccolta di poesie La carne dell’Angelo ( Joker, 2002). Suoi testi sono presenti nelle antologie Rane ( 2004) L’uomo. Il pesce e l’elefante (2007) tutti per i Quaderni di Correnti. E nell’antologia Poeti per Milano ( Viennepierre, 2009), oltre che sulla rivista La Mosca di Milano. E’ redattrice della rivista Il monte Analogo. Scolpisce Forme Viatiche.