Racconti – La conceria

Creato il 17 agosto 2012 da Thefreak @TheFreak_ITA

Un vecchio guardava il mare, nascosto tra gli ulivi e le case di pietra, uguali a quelle della sua terra natia.

Una ragazza si inerpicava lesta su per la collina, un’ombra dai corti capelli biondi e l’andatura fiera.

Mi hai spaventato Ludo” sobbalzò l’uomo, trovandosela di fronte e nascondendo la pistola dietro la schiena.

Ludovica aveva le guance chiazzate di rosso e un sorriso amaro che non si allargava agli occhi gelidi.

Sei proprio identico a mio padre!” decretò “comunque volevo dirti che sono stufa dei vostri complotti. Me ne vado, nonno”.

Sto solo cercando di rimediare” mormorò il vecchio con voce flebile, ma la nipote parve non udirlo e si avviò giù per la collina ucraina, senza voltarsi indietro.

L’uomo si accasciò accanto ad un mazzo di fiori appassiti sotto la croce di pietra incastonata tra gli ulivi in ricordo di Vittorio Rinaldi.

1957- 2011 recitava la scritta in italiano e cirillico.

La foto del suo primogenito era sfregiata. Vittorio l’aveva chiamato, eppure servendogli la vita facile su un piatto d’argento l’aveva destinato inconsapevolmente alla sconfitta.

D’altronde cos’altro avrebbe potuto fare lui che, figlio di umili contadini astigiani, si era ritrovato a capo di una delle catene di concerie e cuoierie più importanti d’Europa?

Lui che, nonostante avesse appena la terza media, aveva fatto scoprire al mondo il fascino del made in Italy?

A lui, che nonostante gli uffici in centro città e l’autista, girava ancora con la tuta da lavoro e salutava per nome gli operai, era parso naturale mandare il figlio nelle scuole più prestigiose e comprargli le migliori automobili.

Ed era sempre sembrato un ottimo investimento.

Vittorio era entrato nell’impresa di famiglia e quando era caduta l’URSS aveva deciso di investire a Odessa, in Ucraina. Aveva comprato una dacia sul Mar Nero, aperto una grande conceria e cresciuto lì la sua unica figlia: Ludovica.

Stimato nella terra natia e adorato nella patria adottiva, aveva sempre reso la famiglia fiera di lui, almeno fino a poche settimane prima.

Era morto infatti in un incidente d’auto e quando il padre si era recato a Odessa e aveva preso in mano i bilanci aveva capito subito che il figlio aveva ceduto alle lusinghe del sistema.

Le prime note stonate si erano avute al funerale, quando con il corpo ancora caldo nella bara di legno chiaro, l’anziano Rinaldi era stato avvicinato da due loschi figuri dagli occhiali scuri e le spalle larghe che gli avevano fatto le condoglianze, sibilando: “Eravamo amici di tuo figlio; speriamo che onori la sua memoria”.

Poco tempo dopo era comparso in azienda anche un poliziotto dai folti favoriti, chiedendo all’uomo se sapesse qualcosa circa le attività di suo figlio.

Il patriarca, tesserato tra gli Imprenditori Italiani in lotta contro le mafie, aveva preso con mani tremanti i libri contabili.

Non c’erano spese per la sostituzione dei filtri, perché i filtri non c’erano, né per lo smaltimento rifiuti che a quanto pare venivano scaricati direttamente in acqua.

L’imperatore delle concerie si era affacciato alla finestra, con la testa tra le mani. In lontananza ribolliva il Mar Nero. Aveva pensato ai canali che lo collegavano al Don, al Danubio, ai bambini che nei giorni d’estate vi facevano il bagno, alle donne che vi lavavano i panni e agli anziani che vi pescavano.

Le immagini erano offuscate da una nube giallastra e pestilenziale, come i rifiuti che il suo primogenito aveva scaricato per anni con il benestare delle autorità.

Doveva pur esserci una ragione!

Aveva frugato in tutti i cassetti in cerca di ciò che sperava di non trovare: un libretto dalla copertina rossa, dov’erano annotati tutti i pagamenti illeciti, le mazzette ricevute, ma soprattutto quelle date.

In cima una foto di Ludovica bambina, cancellata da una X, forse monito di uno zelante membro della Cosca.

Il vecchio Rinaldi non aveva mai pianto, nemmeno quando l’Italia era stata liberata dai nazisti, sua madre era morta o gli avevano dato l’onorificenza di Cavaliere del Lavoro. Eppure nessuno dei suoi numerosi successi avrebbe mai potuto compensare il suo fallimento di padre. Quando gli avvoltoi tornarono a chiedergli di fare la sua sporca parte, lacrime copiose gli stavano ancora accarezzando la barba bianca.

Andate via!” provò a minacciarli “non siamo amici!”.

Loro si limitarono a rispondere che sarebbero tornati.

Da allora le occhiaie del vecchio erano andate crescendo, mentre la pistola non lo abbandonava mai. Si sarebbe fatto giustizia da solo.

All’improvviso un rumore lo scosse.

I due loschi figuri si stavano inerpicando su per la collina.

Come osate?” tuonò, minacciandoli col ferro arrugginito.

Ma quelli furono più svelti e spararono per primi. Fu così che lo trovarono gli operai della Conceria, come un moderno Prometeo, con le cornacchie che gli gracchiavano intorno e la camicia vermiglia sotto la tuta da lavoro blu.

Ludovica capì solo in quel momento che il nonno era un Titano solitario, ma non per questo meno eroico.

Al funerale la avvicinò un uomo dai grandi baffi, che si presentò come il detective Igor Raskolnikov.

Lei, che con il personaggio più celebre di Dostoevskij condivide il cognome, mi promette che questo delitto non rimarrà impunito?” gli chiese Ludovica.

Daragaja devuschka, per assicurare ai colpevoli un giusto castigo ci vogliono prove” rispose l’altro.

Qualche giorno dopo gli zii chiesero alla ragazza di tornare in Italia.

La valigia era già pronta, ma Ludovica capì che non poteva scappare.

Casa sua era lì: in quella fabbrica puzzolente, tra le colline e il mare, dove le icone dei Santi riposavano nelle polverose Chiesette tra gli ulivi.

Era lì che era cresciuta e ovunque fosse andata, il passato l’avrebbe rincorsa.

In fondo aveva pur sempre una laurea in economia: per un po’ avrebbe mandato avanti lei la Conceria.

Fu così che divenne Amministratrice Delegata per l’Est Europeo della Rinaldi S.r.l.

Non ci mise molto a trovare il Libro Nero, ma era troppo giovane ed idealista per commettere gli stessi errori dei suoi predecessori.

Così quando gli avvoltoi si ripresentarono a dettare le loro condizioni, premette il tasto REC sul telefonino.

A conversazione finita corse da Raskolnikov: finalmente il detective aveva le prove che per anni aveva cercato invano.

Non sarebbero bastate, ma erano pur sempre un inizio. La Cosca serpeggiava nell’oscurità, nutrendosi di terrore, connivenza e omertà; ma l’alba di un nuovo giorno era vicina.

Ludovica ne era sicura.

A passo lesto tornò sulla collina di Odessa.

Due croci svettavano alle sue spalle, allineate alla luce di mezzogiorno. Ludo si sdraiò sull’erba secca, protetta dalla loro ombra, pensando a suo padre, a suo nonno e ai tanti uomini coraggiosi che nel mondo venivano continuamente inghiottiti da un mulinello senza ritorno.

Il mare alla fine le aveva restituito il relitto del loro lavoro, purificato dai vizi e dalla corruzione.

Ora toccava a lei restaurarlo e rincollarlo nel giusto puzzle.

Guardò le onde lontane infrangersi sulla battigia e le parve quasi di vedere il nonno venire verso di lei, senza pistola, con le braccia spalancate ad accoglierla, come quando era bambina. 

di Martina Dei Cas, VI classificata, Sez. Racconti; All rights reserved

Nota biografica dell’autore

Martina Dei Cas è nata nel 1991. Vive ad Ala (TN). Studia Giurisprudenza ad indirizzo transnazionale presso l’Università degli Studi di Trento. Ha vinto alcuni concorsi letterari: “Racconta il Teatro- Sipario d’Oro” (Rovereto -TN), per tre edizioni, “L’immagine parla” 2008, (Palazzolo sull’Oglio- BS), 4° Premio Capannese“Renato Fucini” 2008, (Montopoli Valdarno – PI), “Scrivere per Sport 2008” (Latina), “Orme Oltremare 2009” (Genova), “Il privilegio di esistere-Mai più violenza sulle donne 2010” (Macerata), “I racconti della CSR 2011” (Milano), “Da estraneo a straniero 2011” (Tufara, CB).

Altri suoi racconti sono editi in diverse antologie.

Nel 2009 è uscito il suo primo romanzo per ragazzi, “Una stravagante mattinata a Operà”, edito da Albatros Il Filo.

Nel 2010 è stata insignita dal Presidente della Repubblica del titolo di Alfiere del Lavoro.

Con il racconto “Chañan Curi Pilar” ha vinto il titolo onorifico di“Giovane Ambasciatrice CIRSI dell’Interculturalità 2011”. 

Nello stesso anno è uscito il suo secondo romanzo “Cacao Amaro”, Edizioni Miele


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