Saranno stati sessanta gradi. Forse settanta. Di certo l’aria, quella mattina, era rarefatta. Il sole, entrava dalle fessure e si andava a posare, o meglio a spiaccicare, proprio lì, sul tuo volto. Dolce e invadente, di sicuro prepotente. Ti giri dalla parte opposta, con un movimento acrobatico inverti la posizione della testa con quella dei piedi. Assaggi un sorso d’ombra finché l’istinto di sopravvivenza ti costringe ad uscire da quella tenda. Ti stiracchi, guardi i volti dei tuoi amici, cerchi una giustificazione convincente. Che non trovi.
“Ma come cazzo farai a dormire la dentro? Ti avrei svegliato a pugni per il nervoso”
“Che ore sono?” chiedi con innocenza, eludendo la risposta.
“Le undici e mezza. E io sono sveglio dalle 7” risponde Francesco.
“Mattutino”
“Coglione” non alza nemmeno lo sguardo, intento com' è a inzuppare biscotti nel latteecaffè.
“Ho provato a resistere, ma l’aria là dentro è rarefatta, tu non sei umano”.
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