[Racconto] La classe dei famosi

Creato il 30 aprile 2013 da Topolinamarta

Buona sera, cari lettori!
Ricordate del concorso di scrittura bandito dalla mia scuola un anno fa, a cui avevo partecipato col racconto “La biblioteca di notte”? Be’, la vostra Topolina ha pensato bene di fare il bis, iscrivendosi anche all’edizione di quest’anno, questa volta sperando di avere maggior fortuna (l’anno scorso, infatti, il mio racconto era stato selezionato tra i finalisti, ma non era riuscito per poco a salire sul podio dei vincitori)… che nemmeno in questa occasione, ahimè, ha guardato dalla mia parte: ho passato la selezione, ma anche ‘sta volta non sono più riuscita ad andare avanti.
In ogni caso ciò non basta certo a scoraggiare la prode Topolina, che sa già per certo di volerci riprovare per l’ultima volta. Nel frattempo, vi invito ancora una volta a leggere il mio racconto e a dirmi cosa ne pensate!

Prima di proporvelo, permettete che vi dia qualche indicazione in più.
Innanzitutto, il tema dell’edizione 2013 era “Ricordi di scuola”, come al solito da sviluppare in un testo di massimo 10’000 battute: hanno passato la selezione 9 racconti su circa 30, che sono stati inseriti nel libretto di cui vedete qui a destra la copertina.
Anche in questo caso il titolo mi solleticava non poco: come per “La biblioteca di notte” ho pensato di buttare giù un’idea che mi ronzava in testa da un pezzo, e che potrebbe essere l’antefatto di un vero e proprio libro che mi piacerebbe scrivere… però intanto prendetelo così com’è, che va già bene.
Purtroppo credo che il perno attorno a cui ruota l’intero racconto sia anche un po’ il suo punto debole (nonché, forse, uno degli aspetti che hanno contribuito a non farmi vincere), cioè che si tratta di una storia ispirata alla realtà, e che quindi chi non è a contatto con essa rischia di non capirne tutti i dettagli. Tuttavia anche lettori estranei mi hanno assicurato che diverte lo stesso, quindi spero che piaccia anche a voi.
Se qualche passo risultasse oscuro, ovviamente, non esitate a chiedere spiegazioni, e… consideratela una piccola vendetta che mi sono concessa contro la situazione che alcuni professori stanno creando nella mia classe

A questo punto, credo non ci sia altro da dire. Buona lettura!

~ La classe dei famosi ~

Benvenuto, mio caro lettore! Prego, siediti, fai come se fossi a casa tua, e soprattutto mettiti comodo. Del resto, so bene che se stai leggendo codeste parole è perché hai voglia di sollazzarti con una bella storia.
Sì, hai indovinato: io sono qui per raccontartela, questa bella storia, e ti suggerisco di ritenerti fortunato, perché ti assicuro che ben pochi hanno avuto il piacere – ma che dico… l’onore! – di leggerla.
Se accetti un consiglio spassionato, però, non alzarti prima della fine, specie se sei debole di cuore: come dicono in tv, “La lettura di questo racconto è sconsigliata a un pubblico facilmente suscettibile o soggetto ad attacchi di panico”.
Hai allacciato le cinture, dunque? Bene, ora possiamo partire con la nostra storia.

C’era una volta una classe. Non una classe sociale, né una animalesca. E no, nemmeno quella di Sant’Apollinare.
Questa storia narra, infatti, di una classe di quelle scolastiche. In particolare, di una qualsiasi classe prima di un qualsiasi liceo di una qualsiasi città del pianeta terra. Una classe normalissima sotto la maggior parte degli aspetti, formata da venticinque baldi fanciulli, tutti cordiali, carini e assai coccolosi.
Nel caso ti interessi sapere qualcosa in più di loro, sappi che erano quattordici donzelle contro undici giovinetti: le prime amavano conversare amabilmente tra di loro, riferirsi tutte le più brucianti notizie di gossip (non pensare male: in realtà so che erano informazioni del tutto inoffensive), spendere la loro paghetta in graziosi vestiti. I ragazzi, invece, discorrevano di sport e di videogiochi e si divertivano a trascorrere interi pomeriggi correndo dietro a un pallone da calcio.
Non ti stupisce, nevvero? Forse perché quella classe rappresentava la perfetta normalità, tanto è vero che nessuno dei suoi componenti aveva alcunché di bizzarro.
Però, a ripensarci per bene, forse non era poi una classe del tutto normale, così come quella che ti sto raccontando non è una normale fiaba di principi e principesse, oppure di draghi e folletti. I nostri protagonisti, infatti, non sapevano di appartenere a un piano molto più grande di loro: un vero e proprio gioco, oserei dire, e i venticinque giovincelli erano stati scelti per farne parte. Di conseguenza potevano essere considerati inermi pedine completamente all’oscuro di tutto l’intrigo. Lascia che ti racconti, dunque, cosa accadde.

A dire il vero, fin dall’inizio le cose non andarono mai come avrebbero dovuto: detto chiaro e tondo, infatti, i risultati scolastici, a partire dalla primissima verifica, furono sempre terribilmente bassi. Infimi, se paragonati a quelli delle altre sezioni, con cui i nostri protagonisti erano costretti prima o poi a confrontarsi. Già dopo pochi mesi di scuola, dunque, fu evidente che un numero non insignificante di studenti non sarebbe riuscito a superare la prima… e così fu, ahimè: ben quattro fanciulli non risultarono ammessi alla classe successiva; e inoltre i genitori di una ragazza, che avevano già inteso come sarebbe andata a finire, decisero di cambiarle indirizzo.
In seconda, se possibile, le cose andarono persino peggio. Anche in questo caso, se per pura coincidenza tu, lettore, fossi passato nei pressi di quella scuola, avresti sentito di sicuro i muri dell’edificio vacillare sotto la forza delle grida belluine con cui i prof, nel periodo dei ricevimenti, facevano gentilmente intuire ai genitori che l’andamento scolastico del loro pupillo era tutt’altro che promettente.
Non ti dicono alcunché frasi del genere?

«Sono disperata! Suo figlio è un completo disastro su ogni fronte!»
«Ma guardi, si vede che la ragazza studia tanto e che si impegna davvero… però purtroppo non ci arriva proprio!»
«Sono mortificato, ma temo dovrò rimandarlo anche quest’anno!»

Se ti senti sconvolto da cotale spietatezza, sappi che ho volutamente evitato di inserire le peggiori, per non causare malori ai soggetti più impressionabili.
Come c’era da aspettarsi, anche la seconda portò con sé un buon numero di “caduti”: stavolta i bocciati furono ben cinque, mentre quelli che, del tutto spontaneamente, decisero di scappare a gambe levate crebbero a due. Ebbene sì: dopo soli due anni di liceo, la classe si era ridotta quasi di metà dei venticinque studenti originari, che ora erano rimasti in tredici. E tredici furono coloro che si ritrovarono, a settembre, in terza.

Credi che siamo arrivati alla fine? Credi che sia statisticamente impossibile che una classe possa rimpicciolirsi più di così? Be’, mi spiace deluderti: a dire il vero non siamo neanche a metà della vicenda.
Mi duole assai ripetermi, ma il fatto è che la storia di questa sfortunata classe è, ahimè, proprio quella che ti sto narrando: anche in terza, imbattersi in una voce del registro in cui figurasse un voto più alto del 6– era improbabile quanto acquistare dieci biglietti vincenti della lotteria in un colpo solo. L’inevitabile conseguenza di ciò furono altri due bocciati, e dei restanti undici ben quattro decisero che non era concepibile andare avanti così, e si fecero spostare di sezione. L’inquietante idea che i loro professori non facessero altro che divertirsi a vederli fuggire così, infatti, aveva già cominciato a formarsi nelle menti dei nostri giovani superstiti.
Ci fu persino chi ipotizzò una possibilità assurda ma sempre più concreta: e se il piano degli insegnanti fosse stato quello fin dall’inizio? Se loro non fossero stati nientemeno che pedine di un gioco a eliminazione, come in uno di quei reality che vanno tanto in tv… solo con dei concorrenti reali, quasi come una sorta di Truman Show? Il terribile quesito era ormai sulla bocca di tutti, ma naturalmente i professori incriminati non avrebbero mai risposto. Del resto è risaputo che i gravi misfatti non vanno mai rivelati prima della fine, no?

Forse ti starai domandando: ma non c’era un’altra classe abbastanza piccola da essere unita a questi poveretti?
Temo di dover rispondere, anche qui, di no: amico, se cercavi un lieto fine penso proprio che tu abbia sbagliato storia. Se t’interessa, mi è giunta voce che è rimasta una vecchia copia di Cenerentola in biblioteca: sei ancora in tempo per cambiare, se credi di non poter sopportare oltre, perché se osi ancora sperare in un lieto fine ho seriamente paura per te.

Come se a questo punto non fosse abbastanza ovvio, alla fine della quarta il numero degli studenti era ancora diminuito: un solo bocciato, incredibile a dirsi, ma altri due decisero di abbandonare volontariamente il gioco – perché ormai di un gioco si trattava. Solo per gli insegnanti, però.
Così, alla fine, i rimanenti “fantastici quattro” si avviarono verso l’ultimo anno, quello della maturità… Ma ancora una volta, caro il mio lettore, temo che sia presto per cantare vittoria.
Serve dirti, insomma, come andò a finire la nostra storia? Be’, ti darò un indizio: hai presente quell’inquietante filastrocca che fa da sottofondo alle vicende dei Dieci piccoli indiani di Agatha Christie? In tal caso, forse questa strofa ti dice qualcosa:

Solo, il povero negretto
in un bosco se ne andò:
ad un pino s’impiccò,
e nessuno ne restò.

Tranquillo, è soltanto un modo di dire: in realtà nessuno dei venticinque fanciulli rimase ucciso. Però resta il fatto che di quella classe, un tempo di venticinque elementi, non rimase nient’altro che una fredda targhetta (mi piacerebbe tanto dirti di quale sezione si trattava, ma purtroppo violerei la loro privacy – si veda il Post Scriptum qui sotto per ulteriori dettagli)… e ben presto anche quella venne gettata insieme ai bicchieri e ai piatti sporchi, perché visto che non c’era rimasto più nessuno a fare l’esame di maturità, i professori erano andati al bar a farsi una merenda di gruppo (e pure con delle veneziane alla crema che non ti dico!).
Così ebbe termine la triste ma mirabolante vicenda della Classe dei Famosi: il primo (e unico, per quel che ne so) caso nella storia di “classe–reality show”, in cui tutti i poveri studenti vennero eliminati uno dopo l’altro senza pietà da una cricca di ignobili e insensibili insegnanti.

PS: caro lettore, chiunque tu sia (no, non mi interessa), che hai in mano questo misterioso e machiavellico manoscritto (sì, lo so che in realtà è un normale foglio stampato… ma suvvia, non essere pignolo e fai un po’ di sforzo di immaginazione!).
Se stai leggendo queste parole significa che qualcosa è andato storto e che l’umanità è venuta a conoscenza di informazioni ultrasegrete che avrebbero dovuto restare nascoste nei secoli dei secoli. Chi sono io? Be’, non per vantarmi, ma si dà il caso che io sia uno di loro: ebbene sì, anch’io facevo parte dell’allegra combriccola che un gruppo di insegnanti crudeli e malvagi oltre ogni umana comprensione decise di sterminare un fanciullo alla volta, come in uno spietato reality show. Diciamo che questo racconto vuole essere un monito per tutti i poveri e indifesi studenti di oggi e di domani: guardatevi dagli insegnanti, perché sono assai feroci e sempre pronti a rigirare la frittata a seconda della situazione. D’altronde è risaputo che esiste una regola non scritta ma valida per tutti i professori: nel dubbio, è sempre meglio bocciare.
Se per pura fatalità anche tu fossi un insegnante, te ne prego, non volermene male: è solo per scherzare un po’, non è certo mia intenzione offendere nessuno. Tuttavia concorderai di certo con me quando dico che, talvolta, anche tra i professori si incontrano dei soggetti alquanto bizzarri.
Adesso, però, passo e chiudo, perché la faccenda sta diventando pericolosa: né tu né io vogliamo che il presente racconto finisca tra le mani di uno dei crudeli professori protagonisti, dico bene? Mi spiace infinitamente, ma a questo punto è chiaro che tu, mio caro lettore, sia venuto a sapere davvero troppo riguardo a tutta questa storia, quindi temo che sarò costretto a eliminarti. Ecco perché questo messaggio – e tu con lui – si autodistruggerà fra dieci, nove, otto…


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