Di nuovo in Marocco, per raccontarvi di Rachid Nini, giornalista brillante e coraggioso, con un passato da clandestino in Spagna. Una figura emblematica del rapporto complesso e tormentato tra gli intellettuali e il potere, in un Marocco che deve decidere una volta per tutte quale futuro vuole consegnare ai propri figli.
Da Al Massae, particolare della rubrica e foto di R. Nini
Non basta dire che Rachid Nini è il giornalista più famoso e letto in Marocco degli ultimi 15 anni, colui che trasforma in oro ogni cosa che tocca, e che ogni giornale dove lavora diventa il primo quotidiano nazionale. Lui stesso fonda diverse testate trasformandole in pochissimo tempo in dei giornali diffusissimi. L’ultimo quotidiano da lui fondato e diretto, Al Massae, l’ha portato fino al carcere!
No, non basta dire questo per raccontare la storia di Rachid Nini.
Quel ragazzo berbero di modeste origini, nato a Bensliman nel 1970, laureato in letteratura araba all’Università di Rabat, poeta e scrittore giovane che cerca d’inserirsi in un mondo molto chiuso, una nomenclatura che si protegge e si autoalimenta – parlo del mondo del giornalismo e della letteratura – ha una storia strana, senza logica, se non quella del talento, della sregolatezza e della perseveranza, qualità di cui il giornalista e scrittore marocchino è molto dotato.
Comincia a scrivere in un giornale di lingua Amazigh¹ , ma è un’esperienza che dura poco, giusto il tempo per permettergli di ottenere un visto per la Spagna per seguire i lavori del Congresso Mondiale Amazigh. Una volta sul suolo iberico fa perdere le sue tracce, diventa un clandestino, un bracciante nei distesi campi di fragole in Andalusia.
Ma uno come Nini non si ferma qui. Il tarlo delle lettere rode, logora, si dimena dentro e l’unico modo per placarlo è “commettere” la scrittura. Rachid Nini comincia ad inviare le sue cronache al quotidiano nazionale Al Alam. I lettori si appassionano a questo clandestino-scrittore che esprime brillantemente ciò che tutti i marocchini pensano dell’immigrazione, e delle condizioni dure che gli espatriati sono costretti a sopportare nelle campagne spagnole. Lo esprime in una lingua schietta, ironica, dove anche il dialetto trova il suo posto. Oserei dire in una lingua quasi nuova, diversa da quella imbalsamata che era praticata fino ad allora dal mondo del giornalismo arabofono in Marocco.
Passa tre anni da clandestino e poi torna in patria. Al suo rientro scopre di essere diventato un’autorità giornalistica importante, se lo contendono quotidiani e televisioni, e comincia a lavorare al quotidiano Al Sabah, e alla 2M, la seconda emittente televisiva marocchina.
Io l’ho conosciuto in quel periodo, all’epoca collaboravo con un quotidiano che era appena nato e che ebbe vita breve. Rachid Nini venne in redazione e pranzammo insieme. Gli sguardi di tutta la redazione, me compreso, erano pieni di ammirazione e di aspettative nei confronti di quell’ astro nascente del giornalismo marocchino arabofono.
Insisto sulla parola arabofono perché Rachid Nini è l’antieroe di un altro giornalista marocchino della stampa francofona, un certo Aboubaker Jamaï, figlio del grande giornalista Khaled Jamaï. Jamaï Junior scrive in francese ed è un giornalista audace, curioso e che disturba, ma il suo pubblico è francofono, quindi da cercare in una certa classe sociale marocchina!
Rachid Nini invece è il giornalista del popolo, colui che dice le cose come stanno in una lingua immediata e comprensibile, inventa neologismi ironici ispirati dal dialetto marocchino e li sdogana per l’uso comune, nei suoi editoriali si scaglia contro il potere, contro la corruzione, l’ingiustizia e contro i vizi dei marocchini…
E’ un giornalista che mancava al Marocco e che è arrivato al momento giusto, cioè nel periodo di transizione fra il Re Hassan II e il figlio Mohamed VI, in un periodo in cui il potere aveva bisogno di consolidare le sue basi, di rinnovare il suo apparato. Il mondo era cambiato e il Marocco anche, il paese non poteva più essere governato con i vecchi metodi del Re Hassan II, il momento esigeva di concedere qualcosa per poter mantenere tutto. La libertà d’espressione fece un balzo in avanti e gli incalliti oppositori del Re Hassan II accettarono di prendere le redini del paese sotto la tutela del Re che alla sua morte lasciava un popolo impaurito ma molto fiducioso. Bastarono pochissimi giorni a Mohamed VI per conquistare i cuori dei marocchini.
Rachid Nini nel frattempo era diventato un giornalista-star, dalla sua rubrica nell’ultima pagina del quotidiano Al Massae bacchettava pesantemente il potere, svelandone le trame, facendo nomi di persone che si consideravano protette, uomini del re, dei servizi segreti, degli affari, uomini politici e uomini del mondo della cultura e dello spettacolo. La sua penna acuta ed ironica non risparmiava nessuno.
Cominciarono le denunce, le minacce, le richieste e le condanne di risarcimenti faraonici.
In questo clima di grande tensione fra Nini e il potere, il giornalista rafforza la sua base popolare e Al Massae diventa, dopo solo un anno della sua nascita, il primo quotidiano nazionale: studenti, professori, operai, uomini, donne, giovani e anziani masticano le sue parole come quelle di un vate mandato dal cielo.
E lui non vuole sfigurare, vuole meritare la sua fama di giornalista coraggioso, moltiplica i colpi, dalla notizia del matrimonio gay organizzato a Kssar El Kebir – che portò i due “futuri sposi gay” al carcere – all’accusa a uomini forti della polizia e della magistratura di connivenza con gli ambienti omossessuali, fino agli ultimi articoli sull’esistenza di un lager illegale gestito e organizzato dai servizi segreti marocchini. L’ultimo atto di una serie di attacchi e critiche al cuore del Makhzen². Attacchi che scuotono il sistema e fanno di Nini il più temibile degli opinion makers in Marocco.
Bisognava fermare il giornalista Rachid Nini.
Non era la prima volta che un giornalista marocchino finiva in prigione, ma con l’incarcerazione di Nini, avvenuta il 17 Aprile 2011, si è inaugurata una fase nuova nel rapporto, già teso, fra il potere e il mondo della stampa. Nini fu il primo giornalista marocchino a scontare interamente la sua pena, senza che amnistia o indulto interrompessero la condanna: un anno intero. La mobilitazione della società civile, delle organizzazioni dei diritti umani nazionali e internazionali, lo sdegno del popolo marocchino anche esse furono da primato nazionale. Mai un giornalista prima di Rachid Nini aveva goduto di così tanto sostegno.
Questo è il personaggio acclamato e ammirato dal popolo. Questo è il pezzo di un puzzle chiamato Rachid Nini. Un mosaico che i suoi detrattori completano con altri pezzi fatti di accuse d’essere l’esecutore di un’agenda dettata da altri. I teoremi si moltiplicano fra chi lo lega ad ambienti influenti nel palazzo reale e nel mondo degli affari, alcuni lo accusano di essere al soldo degli islamisti radicali, qualcuno accenna perfino alla CIA. Lui attacca e loro contrattaccano. Vari quotidiani, fra cui Al Sabah (il suo vecchio datore di lavoro) riservano intere pagine per smascherare il giornalista più amato e letto in Marocco, lo accusano di plagio (fra le sue presunte vittime anche il giornalista italiano Manlio Dinucci) di populismo, di disfattismo, di mancanza di etica giornalistica e alla fine “di attentato alla sicurezza dello stato e dei cittadini”, accusa per la quale sconta un anno di carcere.
Sono le cronache alle quali abbiamo accennato prima e che Nini pubblicava a puntate già dal 1999, sulle pagine del quotidiano Al Alam. Mesogea le ha proposte come libro, sotto forma di un falso diario che in verità rispecchia molto l’intento di Nini, ovverosia una caotica riflessione sulla sua quotidianità di immigrato clandestino, sul razzismo e sulle sorti di un paese, il Marocco, incapace di trattenere i suoi figli migliori. Grazie a queste cronache il pubblico marocchino scopre uno scrittore-giornalista dal linguaggio fresco e comprensibile, che descrive l’inferno della clandestinità in Europa in arabo (fino ad allora la maggior parte delle opere che avevano come tematica la migrazione erano state scritte in francese, quindi rimanevano appannaggio di un pubblico ristretto), un arabo facile e accattivante in cui si possono immedesimare grandi fasce del popolo.
Nonostante non si tratti di un capolavoro, il diario di Rachid Nini a distanza di 15 anni non ha perso nulla della sua drammatica attualità, non solo perché la tematica dell’immigrazione è sempre all’ordine del giorno, ma anche perché il linguaggio e lo stile di Nini hanno fatto sì che quelle cronache diventassero una lettura cult per il pubblico marocchino, un po’ come successo tanto tempo fa con Mohamed Shukri e Mohamed Zafzaf.
Siamo al 28 Aprile 2012, e con le prime luci dell’alba Rachid Nini ritrova la libertà da una porta secondaria, per impedirgli di incontrare i suoi sostenitori che a migliaia si erano radunati davanti all’uscita principale del carcere.
Da allora, un solo articolo dal titolo eloquente : “Pausa di un guerriero”, in cui Nini racconta il suo calvario nel carcere di Okasha a Casablanca. Un’altra denuncia sempre dal tono ironico e spigliato, ma che questa volta è tremendamente impregnata di amarezza.
Ecco il destino di un giornalista/guerriero: da clandestino a grande giornalista costretto ad “una pausa di riflessione”. Ma c’è già chi mormora che dopo Al Sabah (La mattina) e Al Massae (La sera), Rachid Nini sia pronto a lanciare Al Fajr (L’alba).
E chissà che anche il Fajr non diventi il primo quotidiano nazionale…le notizie, d’altra parte si sa, vanno servite al mattino presto!
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1 La lingua madre della popolazione berbera del Marocco.
2 Letteralmente significa “magazzino”, ma nella concezione politica marocchina indica il sistema di governo fondato sull’alleanza fra la monarchia, le grandi e ricchissime famiglie e i capi tribù di alcune aree dove l’appartenenza tribale ha ancora una sua importanza.
3 Rachid Nini, Diario di un clandestino, traduzione di Camilla Albanese, 2011 Mesogea.