RADICI: La storia locale fra valorizzazione e obbligo scolastico
Creato il 29 luglio 2012 da Natale Zappalà
La
situazione complessivamente deleteria in cui versa il patrimonio
storico-culturale – beni, reperti, tradizioni ataviche, paesaggi e
quant'altro abbia a che fare con il concetto di “radici” –
della provincia di Reggio Calabria, sia in termini di tutela che di
fruizione, impone, con buona pace delle tante chiacchiere al vento
puntualmente almanaccate dai “predicatori” di turno, una
soluzione radicale e definitiva.
Nel corso
degli ultimi decenni, gli enti preposti – amministrazioni
regionali, provinciali o comunali, sovrintendenze – hanno alternato
risoluzioni positive a direttive a dir poco scellerate. Le
responsabilità oggettive della “sovrastruttura” non si
discutono, senza tuttavia dimenticare le ben più gravi colpe che
ricadono sui cittadini, spesso incapaci di supportare o controllare
l'operato dei propri rappresentanti.
D'altronde,
sono mancate – un po' ovunque in Italia, in verità – delle
coerenti e durature strategie di valorizzazione dei beni culturali,
anche perché raramente, dal punto di vista strettamente politico,
investire sulla cultura si traduce in un cospicuo ed immediato
“ritorno” in termini di propaganda. La realizzazione di un parco
archeologico, per esempio, rispetto all'apertura di un'infrastruttura
pubblica, anche se di dubbia utilità, esige una tempistica assai più
dilatata e dà molte meno garanzie occupazionali, laddove la
creazione di posti di lavoro rappresenta il fiore all'occhiello della
perenne ricerca del consenso esercitata dai politicanti.
Al di là di
queste ovvie riflessioni, raramente menzionate nel corso di convegni,
seminari e conferenze dedicate all'argomento, è un fatto che la
conoscenza delle radici storiche locali sia sconosciuta alla
maggioranza della popolazione reggina. Tale colpevole lacuna non può
purtroppo essere colmata da sporadici progetti, incontri tematici,
pubblicazioni di libri o dalla sola attività – certamente febbrile
e in gran parte volontaria e disinteressata – dell'associazionismo;
questi sforzi, statistiche alla mano, rischiano di restare vani,
poiché sistematicamente gli eventi culturali interessano neanche un
decimo dei proseliti delle sagre, dei balletti o delle selezioni di
qualche reality-show.
Ora, un
popolo che non possiede la coscienza della propria identità, che
magari considera il greco di Calabria il nome esotico di una
rosticceria, come può impegnarsi, fattivamente e quotidianamente –
magari semplicemente rispettando l'integrità di un reperto, evitando
cioè di sfregiarlo con dichiarazioni d'amore disegnate o gettandovi
rifiuti (anche organici) – sul terreno della conservazione, della
tutela o della valorizzazione del proprio corpus
storico-culturale? Le cosiddette “motte”,
testimonianza materiale dell'eroica e secolare resistenza degli
italo-greci alle scorrerie arabe, continueranno ad essere
considerate, nella maggioranza dei casi, alla stregua di “vecchie
pietre” e si vedranno altri cancelli elettrici addossarsi alle mura
reggine di IV sec. a.C., già immuni ai terremoti, nonché agli
assedi di Pirro o Annibale.
Occorrerà
dunque conoscere
prima ancora di valorizzare,
pianificando obiettivi concreti, in grado di incidere
sull'iter-formativo dei Reggini del futuro; delle direttive
contestualizzate sul versante dell'istruzione pubblica e finalizzate
alla formazione di una cittadinanza attiva e sensibile al richiamo
delle proprie radici.
L'idea
è quella di dedicare, obbligatoriamente, all'interno della didattica
scolastica relativa a tutti gli istituti superiori del circuito
provinciale, almeno il 10% del programma di storia, storia dell'arte
e letteratura allo studio del plurimillenario patrimonio di memorie
del territorio reggino. Ciò significherebbe, nell'ambito della
storia greca parlare di Anassila, nell'ambito della letteratura
citare Ibico o Licofrone, nell'ambito della storia dell'arte visitare
la villa di Casignana. In fondo, al docente di turno basterebbe
aprire delle appendici sul quadro “generale” degli argomenti
imposti dal Ministero. E che non si dica che l'obbligo scolastico
svilisce l'interesse dei temi trattati! Il fine non dovrà essere
quello di sfornare intere classi di storici o archeologi, bensì
istruire individui che sappiano sommariamente chi sia Leonzio Pilato,
così come oggi tutti, nel complesso, sanno chi è Petrarca.
L'attività di associazioni culturali, ricercatori ed enti preposti
alla valorizzazione della storia locale, in questo senso, sarebbe
ancor più preziosa e determinante nell'approfondire argomenti già
noti, senza dover ogni volta ricominciare da zero.
Il
risultato – fra un paio di decenni, è ovvio – sarà una
generazione di cittadini finalmente consci di avere nel sangue oltre
tremila anni di orgoglioso passato, consapevoli di calcare una terra
di santi ed eroi, che così tante reminiscenze, materiali ed
immateriali, ha lasciato ai posteri, nella spasmodica attesa di
tornare a costituire il simulacro positivo dell'identità degli
Uomini dello Stretto.
Natale
Zappalà
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