Rafael Alberti (1902-1999)

Da Paolo Statuti

Rafael Alberti (1968)

Riporto qui quanto pubblicato dal sito La Repubblica.it – Cultura & Scienze nel giorno della morte di Rafael Alberti.

Muore Rafael Alberti

poeta tra amore e politica

Una vita segnata dall’impegno e dall’esilio. “Non mi pento, non sarò mai un ex comunista”.

 

CADIX (Spagna). Un arresto cardiaco ha fermato per sempre “quel sagittario irrequieto e vagabondo”, come lui stesso amava definirsi, nella sua casa del sud della Spagna a El Puerto De Santa Maria. Rafael Alberti, poeta, scrittore, pittore esiliato dal regime franchista, aveva 96 anni ed era l’ultimo rappresentante della “Generazione 27”, il movimento cui appartenevano Garcia Lorca e Vicente Aleixandre.

Nato il 16 dicembre 1902, lascia giovane l’Andalusia per Madrid, ma rimane attaccatissimo alla sua patria. Si fa strada presto nel mondo dei versi e del surrealismo. Sono del 1929 le dolorose liriche “Sugli angeli” (“Sobre los angeles”). Quegli anni li passa con Federico Garcia Lorca, Salvator Dalì, Pablo Picasso, amici e compagni di strada. Il primo premio importante lo riceve nel 1925 con la raccolta “Marinero en tierra”, un canto d’amore per il mare con cui riceve il premio nazionale della letteratura. Degli anni ’60 sono i suoi “Poemi d’amore”, i versi per “Roma, pericolo per i viandanti”, “Gli otto nomi di Picasso”. Le più recenti rime “Amore in bilico” sono dedicate all’erotismo e alla donna, alla sua nuova e giovane compagna.

Ma è l’impegno politico a prendere il sopravvento e a stravolgere tutta la sua vita. Fin dai primi anni Trenta diventa un militante del Partito comunista spagnolo. Studia teatro nell’Unione Sovietica e dirige con la moglie Maria Teresa Leon – scomparsa nell’88 – la rivista rivoluzionaria Octubre. Dal ‘36 al ’39 partecipa alla guerra civile nelle file repubblicane. Dopo la vittoria di Francisco Franco, viene costretto all’esilio prima in Francia, poi in Messico, Argentina e Italia. E ogni volta che qualcuno parla di sofferenza risponde: “Non mi pento di niente. Non sarò mai un ex comunista”. In Spagna torna soltanto nel 1977, nella sua città, dove nel 1990 si era risposato con Maria Asuncion Mateo, 44 anni più giovane di lui, e dove oggi il suo cuore si è fermato. Le sue ceneri saranno sparse nella baia di El Puerto De Santa Maria.

(28 ottobre 1999)

Alcune poesie di Rafael Alberti nella versione di Paolo Statuti

Ballata di ciò che disse il vento

L’eternità potrebbe essere benissimo

solamente un fiume

essere un cavallo dimenticato

e il tubare

di una colomba smarrita.

Quando l’uomo si allontana

dagli uomini, viene il vento

che subito gli dice altre cose,

aprendogli le orecchie

e gli occhi ad altre cose.

Oggi mi sono allontanato dagli uomini,

e solo, in questo baratro,

a lungo guardavo il fiume

e ho visto soltanto un cavallo

e ho udito solamente

il tubare

di una colomba smarrita.

E il vento allora si è avvicinato,

come di sfuggita,

e mi ha detto:

L’eternità potrebbe essere benissimo

solamente un fiume,

essere un cavallo dimenticato

e il tubare

di una colomba smarrita.

Ritorno dell’amore recentemente apparso

Quando tu sei apparsa, io soffrivo nell’interno più fondo

di una caverna senza aria e senza uscita.

Mi agitavo nell’oscurità, agonizzando,

udendo un rantolo come battito di ali

di un uccello invisibile.

Hai sparso su di me i tuoi capelli

e io mi sollevai fino al sole e vidi che erano l’aurora

che sul mare aperto a primavera si distende.

Fu come se fossi giunto nel più bel

porto di mezzogiorno. Annegavano in te

i paesaggi più splendenti:

chiare, aguzze vette con rosate

corone di neve, fonti nascoste

nelle ricciute ombre dei boschi.

Ho imparato a riposare sui crinali

e a scendere lungo fiumi e pendii,

a intrecciarmi nei rami tesi

e a fare del sonno la mia morte più dolce.

Mi hai aperto il bosco e i miei floridi anni

di recente venuti alla luce, giacevano

sotto la carezza della tua spessa ombra,

lasciando il cuore al libero vento

e accordandolo al verde suono del tuo.

Già andavo a dormire, e a svegliarmi sapendo

che non penavo in una caverna oscura,

agitandomi senza aria e senza uscita.

Perché tu finalmente sei apparsa.

Ritorno dell’amore nei vividi paesaggi

Crediamo, amore mio, che quei paesaggi

si sono addormentati o sono morti con noi

nel tempo, nel giorno in cui vi abitavamo;

che gli alberi perdono la memoria

e le notti se ne vanno, lasciando all’oblio

ciò che le hanno rese belle e forse immortali.

Ma basta il più lieve palpito di una foglia,

una stella cancellata che respira all’improvviso,

per vederci ugualmente lieti di occupare

i luoghi che ci tennero uniti.

Ed ecco ti svegli oggi, amore mio, al mio fianco,

tra i frutici di ribes e le fragole nascoste

al riparo del forte cuore dei boschi.

Là c’è l’umida carezza della rugiada,

le polveri delicate che rinfrescano il tuo giaciglio,

gli elfi felici di ornare le tue lunghe chiome

e i misteriosi alti scoiattoli che versano

sul tuo sonno il minuto verde dei rami.

Sii felice, foglia, sempre: che tu non abbia mai l’autunno,

foglia che mi hai portato

col tuo lieve tremito

l’aroma di tanta cieca età luminosa.

E tu, stellina smarrita, che mi apri

le intime finestre delle mie notti più giovani,

non cessare mai la tua luce

sopra le tante alcove che all’alba ci addormentavano,

e su quella biblioteca con la luna

e quei libri dolcemente caduti,

e sui vigili boschi che destati cantavano per noi.

Tra il garofano e la spada

(Guerra alla guerra per la guerra.) Vieni qui.

Volgi le spalle. Il mare. Apri la bocca.

Una sirena urta contro una mina

e un arcangelo annega, indifferente.

Tempo di fuoco. Addio. Urgentemente.

Chiudi gli occhi. E’ il monte. Tocca.

Saltano le cime frantumando la roccia

e si uccide un bosco, inutilmente.

C’è anche sulla luna la dinamite? Andiamo.

Morte alla morte per la morte: guerra.

In verità, pensa il toro, il mondo è bello.

Già i rami bruciano.

Apri la bocca. (Il mare. Il monte.) Chiudi

gli occhi e sciogliti i capelli.

La colomba

Si sbagliò la colomba,

si sbagliava.

Per andare al nord, si trovò al sud,

pensò che il grano fosse l’acqua,

si sbagliava.

Pensò che il mare fosse il cielo,

che la notte fosse l’alba,

si sbagliava,

si sbagliava.

Che le stelle – la rugiada,

che il calore – la neve,

si sbagliava,

si sbagliava.

Che la tua gonna fosse la tua blusa,

che il tuo cuore – la sua casa,

si sbagliava,

si sbagliava.

Lei si addormentò sulla riva,

tu sulla cima di un ramo.

Pensò che il mare fosse il cielo,

che la notte fosse l’alba,

si sbagliava,

si sbagliava.

Che le stelle – la rugiada,

che il calore – la neve,

si sbagliava,

si sbagliava.

Che la tua gonna fosse la tua blusa,

che il tuo cuore – la sua casa,

si sbagliava,

si sbagliava.

Ritorni di Chopin attraverso le mani già andate

   A mia madre che tutti noi univa

nella musica del suo vecchio piano.

Dapprima era nella sala da pranzo, era nella dolce

sala da pranzo dei sei: Agustin e Maria,

Milagritos, Vicente, Rafael e Josefa.

Da lì mi vengono ora, d’inverno, distanti,

già quasi persi, cancellati dalla memoria i miei,

i fratelli che non sapevo elevare alla mia altezza;

da lì adesso mi giunge questo accordo di acqua,

da lì anche, adesso,

questo notturno ramo di bosco con moto,

questa riva di mare, questo amore, questa pena

che oggi, con un velo di lacrime, mi uniscono a voi,

attraverso le mani felici che furono.

Poi nell’angolo in penombra di una stanza,

lontano dalla sala da pranzo dei sei,

quando di nuovo vicino a voi, perduto,

quasi infinitamente perduto mi sentivo,

molto tardi, già molto tardi,

quando di nuovo arrivava il sonno,

un accordo di acqua, un ramo notturno,

una riva, un amore, una pena a voi

dolcemente mi univano,

attraverso le mani stanche che furono.

E adesso, distante,

più infinitamente di allora, espulso prima

dalla sala da pranzo, più tardi dall’angolo

in penombra della stanza,

tremante,

con il cuore trafitto dall’inverno, Maria,

Vicente, Milagritos, Agustin e Josefa,

uno, il sesto, Rafael, di nuovo si unisce a voi,

con il ramo, l’amore, con il mare e la pena,

attraverso le mani rimpiante che furono.

Ritorno dell’amore sulle sabbie

Stamane, amore, abbiamo vent’anni.

Vanno volutamente piano, intrecciandosi,

le nostre ombre scalze per la strada tra i giardini,

che oppongono agli azzurri del mare i loro verdi.

Tu sei sempre un’apparizione,

sei la luce giunta una buia sera,

quando il giovane senza meta dalla città ritarda,

pensoso, di proposito il suo ritorno a casa.

Tu sei sempre quella che al mio fianco

va cercando il segreto declivio delle dune,

il recondito pendio della sabbia, il celato

canneto che crea

cortine agli occhi marini del vento.

Là sei, là sono davanti a te, controllando

l’alta temperatura delle onde felici,

il cuore del mare ciecamente sorto,

morendo in frammenti di dolce sale e di spume.

Poi, tutto ci guarda allegro, sulle rive.

I castelli in rovina sollevano i loro merli,

le alghe ci offrono corone e le vele,

preso il volo, vogliono cantare al di sopra delle torri.

Stamane, amore, abbiamo vent’anni.

(C) by Paolo Statuti