Riprendono le risposte alla nostra richiesta di indicare 5 o 6 provvedimenti prioritari per rilanciare la crescita e L’OCCUPAZIONE PRODUTTIVA in Italia. Sono già intervenuti Paolo Pini, Paolo Pettenati, Marcello Messori, Vera Negri Zamagni, Stefano Zamagni, Anna Pellanda, Lilia Costabile, Terenzio Cozzi. Oggi risponde:
di Piero Tani Prof. ordinario di Economia politica, Università di Firenze
Ciascuno di questi aspetti merita ovviamente che si intervenga con provvedimenti di politica economica:
- azioni a livello di organismi internazionali per una migliore gestione del commercio internazionale e dei trasferimenti di capitali: l’attuale assenza di regole sta determinando cambiamenti della localizzazione dell’attività produttiva che, per la rapidità con cui si sono manifestati e per la loro dimensione, generano effetti esterni anche drammatici;
- modifiche alla struttura del sistema fiscale che riducano le disuguaglianze, anche attraverso accordi internazionali che regolamentino la competizione per l’accaparramento della domanda e degli investimenti;
- realizzazione di uno stato federale europeo, evitando che una maggiore uniformità nella politica fiscale si realizzi solo attraverso organismi di tipo burocratico e sia invece affidata a interventi efficaci di organi democraticamente rappresentativi (Parlamento europeo).
Per l’Italia, la crisi è legata anche ad alcuni problemi specifici (diffusione della criminalità organizzata; dimensioni dell’economia in nero; eccessivo peso e scarsa razionalità della burocrazia; insufficiente informazione nel mercato del lavoro) rispetto ai quali il soggetto dell’intervento si colloca a livello nazionale. Allo stesso modo, sono positivi tutti gli interventi che favoriscano gli investimenti diretti nel nostro Paese.
Tutti quelli indicati sopra sono interventi importanti che devono essere impostati al più presto. Ma è difficile che i loro effetti si possano sentire in tempi brevi e siano sufficienti a superare, in tempi utili, la situazione drammatica in cui la crisi ci ha fatto precipitare.
Vi è dunque l’esigenza di provvedimenti che possano avere una rapida efficacia soprattutto nel creare occupazione, e occupazione non precaria. Autorevoli voci, provenienti soprattutto dagli Stati Uniti, insistono sulla necessità di stimolare la domanda. Anche questo suggerimento mi sembra decisamente positivo, ma è soggetto a due ostacoli di non poco conto, che rientrano nei problemi generali indicati sopra: il primo è legato ai vincoli di bilancio; il secondo, al rischio che la nuova domanda si rivolga a beni prodotti all’estero e abbia quindi effetti limitati sul sistema produttivo interno.
Tra le questioni affrontabili in tempi più brevi che possono portare un miglioramento della situazione in termini di occupazione credo si debba guardare alla capacità produttiva già esistente in Italia e oggi sottoutilizzata. Questa capacità produttiva si manifesta in misura prevalente – soprattutto in termini di occupazione potenziale – nelle imprese di dimensioni medio-piccole, alle quali è associata quella che resta una delle maggiori risorse del nostro Paese, una imprenditorialità diffusa. Queste imprese, grazie al loro essere efficacemente legate in reti e organizzate in distretti, contribuiscono a mantenere l’Italia ad un livello significativo di produzione manifatturiera e resistono anche a livello di capacità di accesso ai mercati internazionali.
La crisi ha investito queste imprese in vario modo: mancanza di una politica di sostegno, problemi di accesso al credito, ritardati pagamenti da parte della P.A., concorrenza internazionale. Su tutti questi punti sono possibili interventi di politica economica, con limitato bisogno di chiedere accordi a livello europeo e internazionale. Rafforzando una struttura produttiva già esistente, anche se eventualmente bisognosa di varie forme di aggiustamento e conversione – il recente provvedimento di stimolo all’investimento si muove decisamente nella direzione giusta – si possono sperare effetti positivi in tempi brevi, riportando la produzione e l’occupazione almeno ai livelli pre-crisi e potenziando i deboli segnali di ripresa che sembrano manifestarsi in questa estate. Se una quota significativa di queste imprese dovesse fallire, il nostro Paese entrerebbe in una zona di irrecuperabilità.
Le caratteristiche che in Italia ha il sistema delle piccole e medie imprese e il corrispondente sviluppo locale offrono altri effetti positivi, al di là della crescita materiale di produzione e occupazione: pur essendo presenti fenomeni di delocalizzazione, il legame di queste imprese con il territorio è mediamente assai forte, e può essere favorito dall’introduzione di marchi a livello di filiera, puntando sull’effetto made in Italy e sul collegamento con l’attività turistica. Nelle imprese medio-piccole è anche mediamente elevato il senso di responsabilità dei proprietari nei confronti dei lavoratori e degli altri stakeholder: la crisi non lo ha attenuato e anzi ne ha offerto prove, anche drammatiche.
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