Vi segnalo, dunque, l'interessante articolo di Michele Biava, pubblicato il 4 ottobre sul sito di Osservatorio Balcani e Caucaso, in cui si parla dell'incontro del 24 settembre tra lo Željezničar, storica squadra sarajevese profondamente radicata nel quartiere di Grbavica, che era ospite del Borac di Banja Luka, capitale della Republika Srpska, primo nel suo girone. La partita è stata caratterizzata all'inizio da un grande fair play in campo, ma al 28' del primo tempo il goal del Željo ha scatenato l’invasione di campo degli ultras del Borac che sono partiti all'attacco della tifoseria avversaria con sassi e fumogeni. Al 33' la partita è stata sospesa per ragioni di sicurezza e mentre la polizia cercava di arginare le violenze e faceva evacuare tifosi e giocatori del Željo, lo scontro si propagava sulla rete, con lo stesso livello di violenza ma senza le forze dell'ordine a cercare di arginare gli scontri.
La vicenda, nota Biava, sembra confermare i più tristi stereotipi balcanici: una partita che si gioca tra una squadra e una tifoseria a maggioranza “bosgnacca” (lo Željo) e una squadra e una tifoseria “serba” (il Borac), arbitrata da un “croato” è ovvio che finisca a botte. Pochi giorni dopo, mercoledì 28 settembre, l’incontro tra Velež e Zrinjski, le due squadre di Mostar (o, se preferite, le squadre delle due Mostar) finisce più o meno nello stesso modo e offre materiale per un’altra brutta e scontata storiella. Biava invece invita, opportunamente, ad analizzare i fatti un po’ più in profondità e, pur senza “balcanizzare” la notizia, ricorda l'incontro del 13 maggio 1990 a Zagabria tra Dinamo e Zvezda e ciò che poi accadde nei Balcani nei dieci anni successivi. Non per evocare sempre i fantasmi del passato, ma per tenerli a mente e cercare di comprendere il presente, perché se in Bosnia come altrove, il calcio purtroppo riesce molto spesso a dare spazio alle peggiori espressioni di una società, a volte serve a rendere evidenti malesseri nascosti e segnali che occorre cogliere per tempo.
“A nulla serve chiacchierare di riconciliazione se poi si sentono riecheggiare negli stadi slogan come 'ubij turke'”, ovvero “uccidi i turchi”, cioè i “musulmani” del Željo. La violenza dei giovani e giovanissimi tifosi ex-jugoslavi, spiega Biava, “non origina esclusivamente dalla rivalità calcistica, [ma] affonda le sue radici in un disagio profondo, rabbia di una generazione nata negli anni '90, condizionata dal conflitto ('92-'95) in un modo sconosciuto ai reduci, ai sopravvissuti e a chi pretende di studiarne i comportamenti”. Si tratta di giovani che non solo non hanno ricordi diretti della guerra, ma non hanno nemmeno ricordi diretti del “prima”; sono il prodotto di una società che non ha fatto i conti con il passato recente, di un sistema e una classe politica che devono la propria sopravvivenza alle categorie di nazionalità e appartenenza religiosa “riesumate dopo la morte di Tito, cucinate sul fuoco vivo di quattro anni di assedi, stupri, massacri e spostamenti di popolazione, riscaldate e servite a scuola secondo i diversi programmi di istruzione in vigore dopo gli accordi di Dayton”. Il tutto nel quadro di una crisi economica perenne che colpisce tutti.
Conclude Biava: “Non basta pensare a come rendere sicure le prossime partite, non basta arrestare i tifosi. E’ ora di interrogarsi su come rispondere alla frustrazione dei ragazzini sbarbati che ogni giorno vanno a sbattere contro una tribuna avversaria. E al futuro di un Paese intero che è anche nelle loro mani”.
Bosnia: stadi violenti - Il post di Michele Biava su Osservatorio balcani e Caucaso
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