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“Ragazzi di vita” di Pier Paolo Pasolini: l’anima nera e cattiva delle borgate calata nella sua umanità

Creato il 20 febbraio 2015 da Alessiamocci

Quante volte è capitato a chiunque di storcere il naso, anche inconsciamente, quando si sente parlare di e in dialetto? Solitamente, l’idea che si ha di queste parlate è legata a decenni passati, quando ancora i nostri nonni facevano i conti con una vita grama e di privazioni.

E per questo la nostra società rilega i dialetti ai margini, sotto-strato cultuale figliastro dell’italiano corretto che parliamo oggi (su questo ce ne sarebbe da parlare).

C’è però chi va contro questo concetto, facendo della loro tutela una lotta di principio. Potrebbe essere letto così lo struggente libro di Pier Paolo Pasolini “Ragazzi di vita“, uscito per la prima edito da Garzanti nel 1955. Verrà riedito poi nel ’79 da Einaudi, con l’aggiunta degli scritti del poeta corsaro “Il metodo di lavoro” e “I parlanti”, quest’ultimo scritto nel ’47 dove racconta il suo amore per il Friuli e per il friulano, sui cui scriverà molte opere.

“Ragazzi di vita” non racconta però del Nordest, bensì di quelle periferie romane che, nel secondo dopoguerra, rappresentavano un completo di stato di abbandono: umano e del territorio. Appena finita la guerra e con le truppe alleate ancora dentro Roma, infatti, la vita nelle borgate era animata da ragazzini che trascorrevano le proprie giornate a zonzo, tra furtarelli e compagnie, famiglie sfrattate o abusive dove meglio capitava e le atrocità commesse dai soldati sui civili. Ma se il testo d’Italia intravedeva la via del boom economico, i sobborghi fuori dalla capitale non conoscevano progresso, quantomeno non quando non c’erano elezioni.

In una giostra dove a girare sono le vite umane, quasi come animate da una musicalità instabile di Ludovico Einaudi, il protagonista è il Riccetto, un ragazzino che vive con la madre alle scuole elementari del quartiere riadattate per i senzatetto. È una scavezzacollo come tanti, ma dentro di sé conserva quel briciolo d’umanità che, in un luogo come quello, fa già la differenza. Trascorre le giornate come tutti i suoi coetanei: a zonzo, qualche furtarello “innocente”, cinema e bagni nel Tevere, sotto il sole estivo. Un giorno, però, tutto cambia: la scuola dove abita crolla e lui che era fuori si salva, la madre no. Cambia quartiere, andando dagli zii, mentre la vita riprende da zero.

È solo l’inizio di questo romanzo, completamente intriso di romanesco proprio degli abitanti delle borgate (per questo abbiamo citato all’inizio l’impegno di Pasolini per i dialetti), che lo stesso autore conobbe da vicino per cinque anni. Il suo fu un vero e proprio studio sociologo, che trovò forma proprio in questo libro, attraverso il Riccetto, che più che protagonista è “un filo conduttore un po’ astratto, un po’ flatus vocis” (P. P. Pasolini, “Ragazzi di vita”, Einaudi 1979) e gli altri personaggi: Aldo, Lenzetta, Caciotta e molti altri.

Non c’è quindi una vera e propria trama dietro alle pagine, non un filo narrativo che collega i fatti ma solo la volontà di raccontare la realtà che si viveva laggiù all’epoca, nella periferia umana. I significati politici e sociali che il poeta corsaro riportò sono molteplici, fin dai soggetti presi in considerazione (i teppisti, i ragazzi che vivono per strada e mangiano come capita) al rifiuto totale del conformismo borghese.

Il linguaggio, popolano dalla prima fino all’ultima riga, pone di fronte una bella sfida al lettore nel leggere e cala l’accento sulla scrittura di Pasolini: colui che seppe raccontare ciò che tanti non volevano vedere.

 

Written by Timothy Dissegna

 


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