Raggiungere la credibilità

Da Marcofre

Esiste almeno un altro grosso ostacolo sulla strada per arrivare a offrire al lettore un personaggio credibile. Costui o costei non sono “noi”.
A prima vista si tratta di una ovvietà, ma come tutte le cose semplici, racchiudono un insieme di insidie che spesso finiscono con l’impedirci di ottenere qualche risultato decente.

Uno dei più gravi problemi per chi si accinge a scrivere, è che costui crede di vedere la realtà, di conoscerla insomma. Non è così: la vede attraverso la televisione, parla quel linguaggio, conosce tutto tramite il tubo catodico (o lo schermo del plasma, come preferite).
Se l’obiettivo è lavorare per la televisione, siete a cavallo, sul serio.

In caso contrario siete appiedati nel mezzo del deserto dello Utah, e nessuna forma di vita per le prossime 200 miglia, in tutte le direzioni.

Può apparire un discorso bislacco, me ne rendo conto. Ma se si vuole scrivere con qualche fortuna (nel senso: per far sì che qualcuno ci legga), occorre purificare i sensi. Pulire gli occhi e tutto il resto da quello che inquina la visione delle persone e degli eventi.

Uno degli aspetti meno praticati è quello dell’osservazione, della conoscenza. La prima di solito si effettua con gli occhi, la seconda può portare qualche frutto solo quando tutto il nostro essere (la sensibilità; la cultura intensa non come titoli di studio bensì come capacità di decifrare gli eventi), si isola e affronta la realtà.

Affrontare la realtà: al meglio delle nostre poche capacità e badando a consegnare un risultato che risulti credibile. Lo stesso succede con i personaggi, poiché dopo la loro apparizione è necessario cercare di conoscerli meglio. Sono infatti loro che si incaricano di svelare o fare a pugni con il mistero dell’essere umano. Non esiste una realtà da una parte, e dall’altra il personaggio che di tanto in tanto, la frequenta.

Costui è calato con tutto il suo peso e i suoi pregiudizi nel “qui e ora”. Si potrebbe quasi definirlo una sorta di sonda, ma sarebbe sciocco. È carne e sangue, quindi è colpito e colpisce. E non vale la regola del: “Non è autobiografico, non è mai accaduto, è una storia di pura invenzione”. Esiste un tacito accordo, lo sanno tutti, tra lettore e chi scrive. In quelle pagine non c’è nulla di vero, tutto è inventato, ma proprio per questo motivo deve essere credibile. Nessuna contraddizione: è così.

La credibilità si raggiunge con la precisione e lo studio.

Forse conoscete qualcuno che si comporta in un certo modo originale. D’accordo, può essere un buon inizio, o meglio un’idea, anzi uno spunto. No, non è la storia, non è “Da qui in avanti è tutta discesa”. Niente del genere. Che il tipo originale esista o meno è una faccenda vostra. Quello che dovete imparare in fretta è cercare di rispondere alla domanda più spaventosa che esista.

Questa è: “Quindi?”

Chi inizia a scrivere è certo che il mondo aspetti il suo verbo. Il mondo si sta grattando la pancia e sorbendo una granita al gusto di limone e tutto quello che riesce a dire, tra uno sbadiglio e l’altro, mentre scorre le righe della storia è: “Quindi?”.

Insomma, non gliene importa un fico secco. Ci sono ottime probabilità che non gliene importerà mai un fico secco. Però chi scrive, se ha talento, deve capire alla svelta che azioni, personaggi, devono avere uno scopo. Magari illustrare che le cose non sono affatto trasparenti. Che le apparenze sono per gli sciocchi, eccetera eccetera.

E la domanda farà sempre capolino: “Quindi?”. Se però ha fatto del suo meglio, la risposta sarà nella storia. Buona parte dei lettori la leggerà e solo un’infima parte di essi comprenderà.
Ne sarà comunque valsa la pena.