Rango di Gore Verbinski è attraversato dall'identità del suo protagonista, un camaleonte. Si aggiunga che questa domanda Chi sono io? se la pone un rettile domestico abbandonato nel deserto, fuori dal suo ambiente naturale, la città. Perché è la che Rango crede che stia chi fa spettacolo di sé stesso e del suo cambiar di ruolo e d'abito a seconda di quel che richiede il contesto. Insomma, il deserto non sarà il suo posto, ma è la che si trova e deve cavarsela.
Accompagnato da una versione country del coro greco, una band di quattro cupi e simpaticissimi gufetti, un po' troppo pervasi dallo spirito tragico, il nostro camaleonte vaga nel deserto alla ricerca di acqua e di una città che possa fare da sfondo al suo umore giocherellone e al suo carattere teatralissimo. Tuttavia, anche una sana urbanitas ha il suo ruolo nel west, per esempio quando Rango (che nell'originale ha la voce di Johnny Depp) riesce a sedurre i mostruosi abitanti di Dirt (che significa sporcizia, ma nel film viene tradotta come Polvere), raccontando loro di come abbia ucciso sette malviventi con un solo proiettile. Come dire che un buono ed educato istinto narrativo (Rango si presenta come uno scrittore versatile e attivo) risolve diversi problemi.
Il punto è che la storia del nostro adorabile camaleonte non si esaurisce nelle sue esigenze. C'è un'intera città che ha sete e un mistero sull'acqua che scompare. La banca non ha più liquidità (i giochi di parole e le allusioni a una crisi si sprecano nel film) e la popolazione è in subbuglio. In particolare, la tenera e un po' nevrotica Borlotta (Beans, con la voce di Isla Fischer) ha da mandare avanti la tenuta del padre e ha coraggio da vendere. In particolare, si stagliano su Dirt due enormi nuvoloni, ahinoi, non piovosi: il tartarugone, vecchissimo sindaco (Ned Beatty) e il diabolico serpente Rattlesnake Jake (Bill Nighy).
Rango è un film che a tratti offre spunti esistenziali importanti - e forse anche troppo impegnativi - per i piccoli: la solitudine straziante delle proprie fantasie, la necessità di un eroe e il bisogno di riconoscersi in questo ruolo, ma soprattutto il bisogno di credere. Non una fede metafisica e lontana, come in Ortone e il mondo dei Chi, bensì una fiducia concreta e attuale nelle persone che si hanno accanto, nella condivisione di esigenze immediate e di soluzioni comuni. I colori del film tendono a essere naturali e, creature parlanti a parte, ci si dimentica qua e là che si tratta di animazione computerizzata.
Ancora una volta: un film d'animazione non per adulti, ma più che per i bambini.