ROMA – Dopo l’intervista al settimanle “DiPiù” Raoul Bova si confessa anche a Vanity Fair. L’attore vuole chiarire una volta per tutte la sua situazione sia in merito alla sua sessualità sia in merito al suo divorzio con la moglie Chiara Giordano.
Innanzitutto Raoul Bova ci tiene a precisare che, in tutta questa bufera mediatica, i primi a risentirne sono i figli della coppia:
“Se io sono un personaggio pubblico e conosco le regole del gioco, i miei figli non hanno fatto nulla per meritarsi questo trattamento… L’assedio dei fotografi li spaventa… Poi c’è la scuola: i compagni a casa hanno genitori che leggono, ascoltano, e a tavola commentano queste cose, e i figli le sentono, e tornando a scuola le ripetono, con la cattiveria che possono avere i bambini: tuo padre sta male, tuo padre è un ladro, tuo padre divorzia, tuo padre è gay… Se mi vedo costretto a parlare, è per proteggere loro”.
Raoul Bova racconta del suo rapporto con la moglie e l’imminente divorzio:
“Chiara e io nel tempo siamo molto cambiati. Il cambiamento a volte unisce e a volte no. Noi due, purtroppo, non ci siamo più capiti... Allora è iniziato un periodo molto lungo – quasi tre anni ormai – in cui ci siamo parlati, ci siamo confrontati. Abbiamo provato in tutti i modi a risolverli, quei problemi, ma purtroppo non è bastato... E alla fine abbiamo deciso di comune accordo, con grandissimo dolore e con grandissima civiltà, di prendere strade diverse. Lo abbiamo fatto perché crediamo troppo al valore della famiglia per tenerla in piedi a qualunque costo, come facciata, senza onestà. E’ un atto non dico di amore, ma di rispetto per l’amore che c’è stato tra di noi”.
In merito invece alle voci sulla sua presunta omosessualità, Raoul Bova spiega:
“Lo dico apertamente, mi piacciono le donne. Se fossi omosessuale, credo che non avrei nessun problema a riconoscerlo. O forse non lo direi: perché questo obbligo di dichiararsi, di giustificarsi? Nessuno va in giro a dire: piacere, sono etero. Più di metà dei miei amici sono gay. Persone con cui sono cresciuto e andato a scuola, con cui lavoro. E’ per loro, soprattutto, che mi fa ribrezzo questo modo razzista e retrogrado di usare l’etichetta di omosessuale come una macchia inconfessabile, come una peste”.