Isola di Pasqua - MOAI
Aeroporto di Santiago del Cile, 2 febbraio 2012, ore 21:00, in attesa del volo per Hanga Roa, Isola di Pasqua.
La tensione è palpabile, turisti e ‘locali’ attendono l’imbarco con sulle labbra il sorriso di chi sta per realizzare il sogno di una vita o di chi sta per ricongiungersi con le proprie famiglie lontane, anzi lontanissime… Rapa Nui infatti è il luogo più isolato della terra, un minuscolo paradiso più piccolo della nostra isola d’Elba a cinque ore di volo a ovest delle coste del Cile e a quasi altrettante da Tahiti… tanto isolato che i suoi antichi abitanti pensavano di essere gli unici abitanti della terra…
Ci imbarchiamo trepidanti ed eccitati nonostante la stanchezza per le 13 ore di aereo che stamattina ci hanno portati qui da Madrid e le 12 ore passate in città a 25 gradi all’ombra… Santiago è una città strana, non saprei dire se definirla bella ma è senz’altro affascinante. Quartieri moderni ed europei convivono con zone povere e degradate dove la gente fa fatica a campare. Tutto costa tantissimo, dai biglietti della metropolitana (1 euro l’uno) all’acqua (3 euro la bottiglia da un litro e mezzo) e la memoria della dittatura militare di Pinoche è viva nella polizia che presidia ogni angolo, così come la memoria del compianto Presidente Allende il cui saggio volto occhialuto campeggia davanti alla Moneda… Ma non siamo neanche riusciti ad abituarci all’idea di trovarci in questa torrida estate australe che già stiamo volando via, in mezzo al Pacifico.
Atterriamo ad Hanga Roa all’una del mattino in un soffocante caldo umido. Recuperiamo i bagagli in mezzo a vocianti famiglie cilene che non vedono l’ora di uscire dall’aeroporto per riabbracciare i loro cari, cariche di borse frigo piene di cibo e regali (impareremo a nostre spese quanto è costosa la vita qui, il luogo più costoso che ci sia mai capitato di visitare). Quando le porte scorrevoli del piccolo aeroporto si aprono vediamo Patrizia (la gestrice del Mana Nui Inn prenotato tramite il fedele booking.com) che ci aspetta con un cartello in mano con scritto il mio nome e tre ghirlande di fiori di benvenuto: BENVENUTI IN POLINESIA!
Il nostro bungalow è più accogliente persino dell’immagine vista su internet, immerso com’è in un bel giardino fiorito. Patrizia ci offre tre bicchieri di succo di ananas e ci dà la buona notte e noi, dopo più di 30 ore di viaggio e due fusi orari (quattro ore perse da Milano a Santiago e altre due da Santiago a Rapa Nui), poggiamo finalmente la testa su un cuscino.
…
Da allora sono passati solo quattro giorni ma ci sembra di stare qui da mesi tante le cose fatte e viste finora…
L’unica città dell’isola è Hanga Roa, 3’000 abitanti che in questo periodo, tra parenti e turisti, raddoppiano per il Tapati Festival, la festa più grande dell’isola che celebra le antiche tradizioni Rapa Nui. Per il resto l’isola è un immenso parco archeologico abitato solo dagli antichi Moai. E la città è essa stessa un villaggio, con casette ad un piano, giardini fioriti e ritmi rilassati, e tutto intorno mare a perdita d’occhio.
Tutto è misterioso su quest’isola a partire dall’origine stessa del suo popolo. La leggenda dice che il re Hotu Matua sognò un’isola vulcanica che sarebbe stata la nuova patria del suo popolo. Allora mandò 7 guerrieri alla sua ricerca. I 7 sbarcarono ad Anakena (l’unica spiaggia dell’isola) e così nacque il popolo Rapa Nui. La società prosperò per secoli e migliaia di Moai furono eretti quali incarnazione degli spiriti degli antenati. Quando però tutti gli alberi furono tagliati, tutta l’acqua fu bevuta e il popolo non aveva più di che sfamarsi, poveri e ricchi cominciarono a farsi la guerra distruggendo i moai e la leggendaria pace che caratterizzava la vita sull’isola. Poi arrivarono gli spagnoli che i Rapa Nui credevano divinità dalla pelle bianca venute dal cielo per salvarli, e invece malattie e deportazione nelle miniere del Cile li sterminarono nell’arco di un baleno, tanto che l’antica scrittura si perse e dell’originario popolo dell’isola rimase solo qualche centinaio di sopravissuti.
Oggi i visi dei moderni Rapa Nui ci parlano del loro lontano re Hotu Matua venuto dalla Polinesia per cercare pace nel mondo lontano dal mondo che però ora è in mano ai danarosi turisti che vi si riversano a milioni (il numero del mio biglietto di ingresso al parco Archeologico di Rapa Nui è il 10’397’344!).
Trovarsi davanti ad un moai è una di quelle cose che vanno provate almeno una volta nella vita: ogni pietra di questi misteriosi giganti trasuda mistero e unicità e guardare la loro sagoma nera stagliarsi nel cielo colorato dal sole al tramonto ha un che di ancestrale che ti fa estraniare da tutto ciò che ti circonda proiettando sensazioni e percezioni in un passato che non è più. Le onde del mare si infrangono ai loro piedi spumeggiando fragorose, gli alti cappelli di pietra rossa ne disegnano l’inconfondibile profilo, la roccia nera degli eleganti visi stilizzati impone un rispetto reverenziale verso una civiltà spazzata via dal cosiddetto ‘progresso’. Ascolto il silenzioso monito delle misteriose pietre di Rapa Nui imparando a capirne il significato profondo e imprimendomi nella mente ogni singolo istante che mi è concesso passare su questa terra minuscola eppure tanto grande da essere diventata per me INDIMENTICABILE…
[ Racconto di Federica Leone ]