È troppo penoso vederli scoppiare a piangere, buttarsi in terra, ripetere più e più volte “sono sieropositivo, sono sieropositivo”, esclamare “sono morto”, o “io non ce la posso fare”, o “io mi ammazzo”, oppure “come glielo dico ai miei?”.
E ogni volta,dopo le prime reazioni disperate, quando sono pronti ad ascoltare, o me lo chiedono, spiegare le opportunità terapeutiche di oggi, l’aspettativa di vita e capire di non essere creduta.
E constatare quanto spesso i rapporti orali sono stati i responsabili del contagio mentre loro si raccontavano che no, non sono rischiosi, o che sì, ma pochissimo, o che se HIV si prende così allora saremmo tutti sieropositivi.
Quando esco dalla mia stanza dopo una seduta del genere mi verrebbe da uscire e gridare: “HIV si prende anche coi rapporti orali. Non raccontatevi storie!” E sogno una scena in cui una domenica chiedo ospitalità per pochi minuti sul suo balcone a un tedesco vestito di bianco, prendo in prestito il suo microfono e spiego a tutti i rischi che corrono con questo tipo di rapporti.
In attesa di realizzare questo sogno, comincio a gridare da qui. E voi che mi leggete amplificate la mia voce, moltiplicate le mie parole. Per favore.