Rapporto del governo irlandese: la schiavitù nelle lavanderie Magdalene degli ordini religiosi cattolici

Da Cagliostro @Cagliostro1743

Una situazione di schiavitù, con la complicità dello Stato irlandese, all’interno delle lavanderie Magdalene gestite da ordini religiosi cattolici: questo è quanto emerge da un documento ufficiale pubblicato dal governo irlandese.
Le lavanderie erano gestite da suore cattoliche irlandesi e la loro attività è durata dal 1922 al 1996: in questo periodo hanno lavorato circa 10mila donne, un quarto delle quali mandate dallo Stato, la più giovane delle quali aveva nove anni e la più anziana 89. L’età media era 23 anni ed i due terzi veniva lasciata libera di andare via entro un anno ma con un otto per cento delle donne che ha passato all’interno più di un decennio.
Una situazione di umiliazione e sfruttamento in luoghi che il rapporto ufficiale descrive come «solitari e spaventosi».
Cibo scadente, spesso con pidocchi e pulci, lavoro faticoso, obbligatorio e gratuito e maltrattamenti psicologici da parte delle suore: questa era la situazione sopportata dalle donne la maggior parte delle quali erano orfane.
Il giornale britannico Independent riporta la testimonianza di una delle donne che ha lavorato nelle lavanderie cattoliche Magdalene: «Ci alzavamo alle sei del mattino ed andavamo nelle lavanderie, poi mangiavamo alle due. Il cibo era semplicemente orribile. Alle sei recitavamo il rosario e poi di nuovo a letto. Nessuno aveva il permesso di parlare. È stato peggio di un carcere. Andrò nella tomba con questo dolore che ha distrutto la mia anima e non mi abbandonerà mai. Il governo e la Chiesa dovrebbero ammettere il dolore che ci hanno fatto e le cicatrici che ci hanno lasciato».
Per più dieci anni il governo ha negato ogni responsabilità ma nel rapporto governativo emerge la prova di un «intervento diretto dello Stato» che ha inviato un quarto delle donne che hanno lavorato nelle lavanderie. Inoltre lo Stato ha finanziato e regolamentato le dieci lavanderie, che erano mere attività commerciali, non pagando lo stipendio alle donne obbligate a lavorare molte delle quali non sapevano neanche perché si trovassero a lavorare e per quanto tempo dovessero farlo. La polizia inoltre rimandava indietro le donne che tentavano di fuggire.
Questa la testimonianza di una donna: «Le suore erano molto cattive. Dicevano: “Tuo padre è un ubriacone” davanti a tutti. Questo mi umiliava». Un’altra donna che non ha conosciuto la famiglia così descrive il viaggio alla lavanderia: «In macchina le suore dicevano che avevo il diavolo dentro di me, agitando l’acqua santa e recitando il rosario. Non siamo mai stati felici».
Le regole imponevano di proibire amicizie tra le donne e le pene prevedevano la privazione dei pasti ed il taglio dei capelli. Una donna sottoposta a quest’ultima punizione ha riferito: «È stata una umiliazione molto intima, mi ha cambiato come persona. Dio mi perdoni ma da allora ho imparato ad odiare la gente».
Marina Gambold , 78 anni, un ex detenuta di una lavanderia nella contea di Wexford, ha detto di essere stata obbligata a mangiare sul pavimento come punizione per aver rotto una tazza ed è stata chiusa fuori al freddo sul balcone per due notti durante la sua prigionia durata tre anni.
Le donne venivano mandate a lavorare nelle lavanderie Magdalene per i più vari motivi e la stragrande maggioranza non erano “ragazze difficili” che avevano avuto figli fuori dal matrimonio o erano dedite alla prostituzione. Secondo il rapporto questa «caratterizzazione del tutto imprecisa» aveva contribuito a creare uno stigma sociale che ha portato molte donne a non farsi avanti e ha creato una cultura del «segreto, del silenzio e della vergogna». Le donne venivano mandate da giudici come conseguenza di lievi condanne penali o direttamente dalle scuole statali per bambini bisognosi. Servizi sociali e sacerdoti facevano anche riferimento alle lavanderie mentre alcune donne erano semplicemente povere e aveva bisogno di un rifugio e volontariamente si sono impegnate a lavorare. Altre – sempre secondo il rapporto – sono state mandate dalle loro stesse famiglie.
Il Washington Post riporta il pensiero dell’autore del rapporto, il dottor Martin McAleese, marito del precedente presidente irlandese Mary McAleese: «Nessuno di noi può immaginare la confusione e la paura vissuta da queste giovani ragazze, in molti casi, poco più che bambine, senza sapere il motivo per cui erano lì, sentendosi abbandonate, chiedendosi se avessero fatto qualcosa di sbagliato e senza sapere quando, se mai, sarebbero uscite ed avrebbero visto le loro famiglie. L’impatto psicologico su queste ragazze è stato senza dubbio traumatico e duraturo». McAleese riferisce che la maggior parte delle donne intervistate ha descritto le lavanderie come «fredde con un regime rigido e senza compromessi di lavoro fisicamente impegnativo e di preghiera e molti casi di censura verbale, rimproveri e umilianti mortificazioni».
Fergus Finlay, amministratore dell’istituzione benefica irlandese Barnardo’s e precedentemente esponente dell’Irish Labour Party, ammette che «lo Stato ha chiuso un occhio sulle terribili condizioni in cui le donne vivevano, pur sostenendo gli ordini religiosi che li hanno schiavizzate finanziariamente ed in altri modi. Queste donne sono stati trattate come schiave».
Il primo ministro irlandese Enda Kenny si è detta dispiaciuta per quello che le donne avevano vissuto, ma non si è scusata pubblicamente e formalmente a nome dello Stato e non ha ancora risposto alle richieste di risarcimento per i sopravvissuti.
I sopravvissuti hanno criticato la mancanza di scuse ufficiali da parte dello Stato, Marina Gambold, una delle donne che hanno lavorato nelle lavanderie, ha detto: «Una scusa per me varrebbe come un risarcimento di un milione di dollari».


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