“Sono i due estremi entro i quali c’è la vita, con le sue contraddizioni e le sue superstizioni espresse magicamente dalla mistica degli sguardi dei gatti. Ma nel film c’è anche un’altra mia ossessione ottica nata in seguito a una leggenda metropolitana: un uomo al quale viene sconsigliato di parcheggiare la macchina in un certo posto perché c’è il pericolo che gliela mangino i maiali. È così che il maiale è finito nel mio film”.
Con queste parole il cineasta di Sarajevo Emir Kusturica spiega il significato del titolo del suo
Film a soggetto che parte dal momento in cui Zarije (Zabit Memedov), proprietario di un cementificio, intento a chiedere del denaro per concludere un affare legato al mercato nero del petrolio al vecchio amico Pitic (Sabri Sulejmani), padrino gitano magnate delle discoteche, viene spacciato per morto dal figlio Matko (Bairam Severdzan), il quale vuole coinvolgere nella faccenda anche Dadan (Srdjan Todorovic), re dei gangster gitani.
Situazione cui si aggiungono Zare (Florijan Ajdini), figlio di Matko, e Afrodita (Salija Ibraimova), sorella di Dadan, i quali si ribellano proprio nel giorno del loro matrimonio con la risultante che la piccolissima ragazza trova comprensione tra le braccia dello spilungone Grga (Jasar Destani), mentre il suo marito mancato rimane libero di sposare la cameriera Ida (Branka Katic).
Ed è una fisarmonica piena di soldi a complicare ulteriormente quella che, strutturata su una complessa architettura comico-surreale e “tormentata” dall’interrogativo-metafora “Possono un gatto nero e un gatto bianco sposarsi?”, altro non si rivela che una favola immersa nel reale universo gitano, a suo modo chiassoso e farsesco.
Favola che si svolge sulle rive del Danubio e che, infarcita, quindi, di riflessioni sulla cultura e sulla gente della ex Jugoslavia di cui fa parte lo stesso Kusturica, rientra, di conseguenza, nel periodo migliore del regista, ovvero quello anni Novanta.
Complice anche il fatto che, tra invenzioni picaresche e consuete gag caratterizzate da un notevole impatto iconografico, nel corso delle oltre due ore di visione non appaiono assenti neppure evidenti riferimenti al cinema di Federico Fellini; a cominciare dalla scena d’amore nel campo di girasoli, comprendente un piccolo tributo ad Amarcord (1973).
È RaroVideo a ristamparlo in una nuova edizione dvd corredata di trailer originale ed videointroduzione di Bruno Di Marino nella sezione extra, oltre che di un booklet incluso nella confezione.
Francesco Lomuscio