RASSEGNA STAMPA/ Favino salva “Il Generale Della Rovere” ma la fiction non salva lui

Creato il 13 ottobre 2011 da Iltelevisionario

Rassegna stampa dedicata alla miniserie di Raiuno Il Generale Della Rovere con Pierfrancesco Favino. Le due puntate trasmesse domenica 9 e lunedì 10 ottobre in prima serata sono state seguite in media da 4 milioni 725mila telespettatori, pari al 18.75 % di share. Promosso il protagonista Favino che, come scrive Aldo Grasso sul Corriere della Sera, “salva la fiction ma la fiction non salva lui”, consigliando all’attore di “stare più attento quando si butta in simili avventure” o, come scrive Stefania Carini sul quotidiano Europa, ”dovrebbe scegliere ruoli migliori, per non rischiare di perdersi nei meandri nebulosi della fiction italiana”.

La fiction Rai è un remake dell’omonimo film del 1959 con Vittorio De Sica, diretto da Roberto Rossellini che vinse il Leone d’oro come miglior film alla 24ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

Rifare Rossellini in tv: bella idea d’altri tempi

(Canal Grande di Antonio Dipollina – La Repubblica) La Tv tenta un rifacimento dal passato. Vantaggi: solo con quelli che si indignano e protestano se ne parla già molto (in questo caso, arricchito il tutto da un’ invasività promozionale che forse ha giocato contro). Svantaggi: tutto il resto. E così, operazioni come Il Generale Della Rovere, appena passato su Raiuno, alla fine si ritrovano in un contesto in cui è difficile far valere meriti propri. Qui, il precedente era addirittura segnato dalla coppia Rossellini-De Sica, film del 1959: nessuno in questi casi dice più che si fa tutto questo per i giovani, tanto è chiaro ormai cosa pensano i giovani del fatto di guardare la tv generalista alla sera. Resta il lavoro, la miniserie in due puntate: Pierfrancesco Favino è al di là della sicurezza, grande impegno e rispetto da parte di tutti, omaggio finale a Montanelli autore. Ma la seriosità nonché solennità di cui abbisognerebbero queste operazioni sono reperti del tempo andato, nella tv che passa veloce e va, dove non si sa.

Favino stia attento ai copioni sbagliati

(A fil di rete di Grasso Aldo – Corriere della Sera) Siamo sinceri: già il film di Roberto Rossellini sul generale della Rovere non era un granché. Girato su commissione, a basso costo, resta una delle sue opere meno ispirate, distante dalla sua poetica. Del resto, Rossellini poteva contare solo sul racconto di Indro Montanelli e sul gigionismo di Vittorio De Sica: ha riscaldato il primo e raffreddato il secondo, portando a casa persino un Leone d’ oro a Venezia, ex equo con La grande guerra di Mario Monicelli (un ex equo politico, considerando il diverso valore delle due opere). Le due puntate prodotte per Rai Fiction da Rizzoli, dirette da Carlo Carlei, scritte dallo stesso Carlei con Massimo e Simone De Rita e interpretate da Pierfrancesco Favino, ripropongono la storia del truffatore Giovani Bertone che vive imbrogliando le famiglie dei prigionieri, si spaccia per generale dell’ esercito italiano e, in cambio di soldi, promette di intercedere presso le autorità tedesche (Raiuno, domenica e lunedì, ore 21.25). Il suo gioco viene scoperto da un comandante delle SS che però, a causa della sorprendente somiglianza, gli propone, in cambio della salvezza, di sostituirsi al generale badogliano Fortebraccio Della Rovere, ucciso per errore proprio dai nazisti. Se Rossellini raccontava un dramma (secondo alcuni critici anticipando la scrittura delle sue future realizzazioni tv), Carlo Carlei (l’ indimenticabile regista di un kitschissimo ritratto devozionale di Padre Pio) si butta sul melodramma, mettendo in scena lacrime di donne e bambine abbandonate. Se davvero Pierfrancesco Favino aspira a essere il miglior attore italiano, come vorrebbero alcuni, deve stare più attento quando si butta in simili avventure. Lui salva la fiction (cedendo molto spesso a «desichismi» di maniera), ma la fiction non salva lui. Bizzarrie: nella convenzione del doppiaggio, i soldati tedeschi parlano fra di loro un po’ con la loro lingua e molto in italiano, con vistoso accento tedesco.

Il Generale Della Rovere, superflua imitazione

(Cose di Tele di Alessandra Comazzi – La Stampa) Descrivere il Paese, raccontare il Paese, capire il Paese, interpretarlo. E’ la via che i produttori delle fiction, e i loro committenti, dichiarano continuamente di voler seguire, lo hanno ribadito tutti, unanimi, al recente Festival di Roma. Diversi i fatti. Mi domando che bisogno c’era di riproporre «Il generale Della Rovere», Raiuno. Dal racconto di Montanelli, protagonista Vittorio De Sica, trasse il suo film Rossellini, Leone d’oro a Venezia. La parabola tutta italiana dell’uomo senza qualità, il piccolo truffatore che vive di espedienti, il quale alla fine si riscatta e muore con dignità, è forse sempre valida e coerente con le caratteristiche nazionali, ma è già stata descritta. In un modo definitivo: perché perder tempo con l’imitazione? La rete voleva sottolineare la tardiva italianità? Poteva trasmettere il «Generale Della Rovere» autoctono, avrebbe fatto prima e meglio. Raccomandano, gli autori, di non chiamarlo «remake». Lo possiamo chiamare Peppino, ma quello resta: il rifacimento di un grande film, con aggiunte un po’ così per farlo durare il doppio. Pierfrancesco Favino, sempre in scena, e il regista Carlo Carlei, hanno scelto di rendere esplicita la citazione di De Sica. Bravo, molto, Favino, ma non ben circondato. Straniante doppiaggio per gli attori stranieri.

Il Generale Della Rovere? Che coraggio

(La Tele Dipendente di Stefania Carini – Europa Quotidiano) Confronti inevitabili Impossibile sottrarsi al confronto. Da un lato Rossellini alla regia e alla sceneggiatura, insieme a Indro Montanelli, Sergio Amidei, Diego Fabbri. Attore protagonista Vittorio De Sica. Ci vuole coraggio a confrontarsi con tali personaggi. Certo, il regista Carlei dichiara che vorrebbe approfondire il racconto di Montanelli, non fare il remake del film. Si mettono le mani avanti. Solo che il romanzo viene dopo il film. Solo che è difficile dimenticare quella pellicola che vinse il Leone a Venezia ex equo con La grande Guerra (ah, no, non mi avrete, non inizierò a lamentarmi del bel tempo passato…). La miniserie in due puntate Il Generale Della Rovere racconta la storia di Bertone, truffatore e giocatore d’azzardo, che nella Genova occupata estorce denaro ai parenti dei prigionieri arrestati dai nazisti, sostenendo di riuscire a intercedere per loro. Una delle sue vittime lo denuncia, Bertone viene catturato ma si trova davanti una possibilità: il nazista Muller vuole che si finga il Generale Della Rovere, capo della Resistenza del Nord. In carcere, dovrà fare il doppio gioco, e passare al nemico le informazioni carpite tra i detenuti. La commedia però gli prende la mano, e arriva così la trasformazione da mistificatore a eroe.

Stonature Anche senza aver in mente il film, c’è subito qualcosa che stona. Il preludio alla vicenda, la presentazione del personaggio, diventa abnorme, dura tutta la prima puntata. E tratteggia un personaggio non certo carogna. Questo perché gli sceneggiatori Carlo Carlei, Massimo e Simone De Rita hanno deciso di aggiungere una sottotrama assente nel film e nel romanzo per umanizzare (sic) il nostro Bertone, dimostrando così di capire poco di costruzione drammatica. In questa versione, infatti, il nostro perora con il cuore la causa di un suo amico catturato dai nazisti, andandosene in giro con la di lui tenera figlia, cui inevitabilmente si affeziona. Dunque, Bertone è già salvo. È già un brav’uomo. Per via di questa umanizzazione preventiva, la sua redenzione successiva nelle vesti del falso del Generale perde di efficacia. Peggiore è il protagonista, più forza acquista il suo cambiamento: regola base di sceneggiatura, raramente capita in Italia.

Ruoli migliori I dialoghi che funzionano, come quelli tra Muller e Bertone, sono copia-incollati dal film di Rossellini. Come se non bastasse, il regista Carlei abusa del rallenty per segnalare drammaticamente alcune scene, come se il pathos fosse una mera costruzione meccanica. Piefrancesco Favino è un bravo attore, questo si sa. Qui rischia però di darsi all’imitazione di De Sica. Forse dovrebbe scegliere ruoli migliori, per non rischiare di perdersi nei meandri nebulosi della fiction italiana. Certo, pensando a quello che gli offre il cinema, la scelta immaginiamo sia ardua.


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