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RASSEGNA STAMPA/ Il più grande spettacolo di Fiorello

Creato il 16 novembre 2011 da Iltelevisionario

“Abbiamo fatto il botto”. Così Fiorello ha commentato lo straordinario esordio del suo nuovo varietà televisivo #ilpiugrandespettacolodopoilweekend seguito su Raiuno da quasi 10 milioni di spettatori. Lo show è stato fin dall’inizio il più grande, portando lo spettatore indietro nel tempo, con i modi e i tempi dei varietà del passato, e nel solco della “tradizione” dei precedenti spettacoli televisivi di Fiorello. Il successo dello show, con un equilibrato mix di musica e puro spettacolo, è dato dalla verve del conduttore e dalla disponibilità dei suoi ospiti. Infatti Fiorello scherza con quelli presenti nel parterre, come il direttore di Raiuno Mauro Mazza, Michelle Hunziker, Alessia Boni, Nicola Savino, Luca Giurato, Marta Marzotto e Marco Borriello, e con quelli presenti sul palcoscenico, giocando con il campione mondiale di tennis Novak Djokovic e duettando con Giuliano dei Negramaro e Giorgia. Lo showman è stato supportato, in questa prima puntata, dalla sua spalla storica, il collega e amico Marco Baldini, con le sue incursioni, le voci fuori campo e gli sketch, andando per un momento a riformare il duo comico tra i più apprezzati in Italia. Lo spettacolo si apre sull’imponente scenografia di Gaetano Castelli, che arricchisce il palcoscenico di mille luci in ogni angolo ed un lunga passerella rivolta verso il pubblico. Il tutto arricchito dall’orchestra di 50 elementi diretta da Enrico Cremonesi, disposta sulle gradinate, e dalle eleganti coreografie di Daniel Ezralow che colloca sul palcoscenico ben 16 ballerini e ballerine vestiti con la maschera di Fiorello. Gli ingredienti ci sono tutti per riportare la televisione italiana agli albori di un tempo e per riscrivere un nuovo capitolo della stessa.

IL TECNICO FIORELLO

(di Massimo Gramellini – La Stampa) Una delle ragioni del successo di Fiorello è che da una vita su Raiuno non andava più in onda un programma di Raiuno. Come gli elenchi di «Vieni via con me», giusto un anno fa, avevano propiziato il risveglio di un’opinione pubblica che si sarebbe poi espressa nei referendum di primavera, il Fiorello in smoking dell’altra sera ha anticipato l’opera di restaurazione del governo tecnico. Il suo, per quanto adattato ai tempi, è stato il classico varietà da Prima Repubblica. Uno spettacolo democristiano nel senso migliore e pippobaudesco del termine: rassicurante, fastoso con sobrietà e divertente senza essere corrosivo. In una parola: professionale. Il conduttore era brillante e leggero, ma non fatuo né insopportabilmente volgare. I cantanti sapevano cantare, i musicisti suonare e i ballerini ballare. Dietro ogni gag, anche alle meno riuscite, si intuiva il lavoro di persone competenti. In questo senso la restaurazione è una rivoluzione. Nella tivù dei granfratelli che non sanno fare altro che esserci, dove l’incapacità e l’ignoranza ostentate con orgoglio sono diventate la forma più comune di intrattenimento, riaffiora il concetto del merito. L’idea che per fare qualcosa, non solo in tv, il primo requisito non sia essere fortunati o raccomandati, ma essere bravi. Sull’onda del «tecnico» Fiorello, adesso mi aspetto il ripristino dei quiz con le domande difficili e i concorrenti sgobboni. Se poi anche il Tg1 tornasse ad assomigliare a un telegiornale, il ritorno alla realtà, dopo questa lunga ricreazione a base di urla e di pernacchie, potrebbe dirsi compiuto.

HA VINTO PERCHÈ LAVORA SODO

(di Mirella Poggialini – Avvenire) Simpatia e professionalità, preparazione e intuizione, oltre al rispetto per il pubblico che si rivela nello stile e nell’eleganza del tratto: queste le armi con le quali Fiorello ha vinto la sua battaglia, con la prima puntata di Il più grande spettacolo dopo il weekend, e ha fatto vincere anche Raiuno e tutta la Rai, ottenendo un mirabolante esito di 9.796.000 spettatori, share del 39,18%. A testimonianza che occorre affrontare un pubblico trasversale con l’intelligenza delle proposte: e il varietà di Fiorello, che si è snodato per ben tre ore secondo i collaudati canoni del varietà classico, “quello di una volta”, dimostra che una accorta preparazione e l’aiuto degli autori (qui forse ancora da rinforzare, così come lo studio dei ritmi, divenuti lenti nella seconda parte del programma) si possono coinvolgere anche i potenziali ascoltatori che di solito si rivolgono al web. E’ quel che ha fatto Fiorlelo, studiando a lungo il melting pot dell’utenza varia oggi presente: e se non ci sono state diretti collegamenti con Twitter, era intuibile quanto il sintetico linguaggio del social network abbia influito sulle sue battute e sui suoi monologhi. Che sono già diventati in breve – anche questo il web lo prova – tormentono divertente e mai offensivo: sia per la capacità di Fiorello di non oltrepassare i limiti del buon gusto e di non trasformare la sua ironia in satira urticante. Un gran successo, dunque, e una prova di forza, in qualche misura, che dato respiro alle ansie di chi immaginava la Rai ormai in decadenza. Sembra una ricetta facile, ma è la personalità di chi sta sul palcoscenico e padroneggia senza soste le improvvisazioni e gli inserti coreografici (le maschere-fiorelle e i balletti originali) a tenere le fila e dare impronta allo spettacolo e al suo snodarsi così ricco di varianti e sorprese. Il fatto è, insomma, che per ottenere buoni risultati occorre lavorar di lena, provare riprovare, accumulare dati e filtrarli rapidamente sul filo dell’improvviso. “Age quod agis”, ricordava la massima dei Benedettini. Fiorello nel suo piccolo grande lavoro condotto con passione, ha dimostrato di voler fare, prima ancora di ottenere: una lezione positiva anche al di là del mondo dello spettacolo, del quale si è dimostrato, ancora una volta, padrone sicuro.

CON FIORELLO TORNA LA NOSTALGIA DEI VARIETÀ RAI

(di Stefano Mannucci) La valanga Fiorello, con il suo 40 per cento di share ha praticamente seppellito il Grande Fratello, inchiodato al 16, 5. Dieci milioni di italiani hanno optato per il supervarietà del mattatore siciliano, snobbando le liti e il turpiloquio dei fancazzisti della Casa di Canale 5. Lo scontro ha inaugurato, neppure troppo sotterraneamente, la post-pax tra Rai e Mediaset. Viale Mazzini poteva scegliere serate più comode per ottimizzare l’audience dello show di Fiore, e invece ha mirato dritta al cuore – logoro e ingrossato dalla claustrofobia – del reality del Biscione. Così, in due diversi studi di Cinecittà si è combattuta la guerra strisciante fra due modi diversi di fare televisione: quello impoverito, troppo spesso indifendibile dei «ragazzi» della Marcuzzi, effimeri attori da scannatoio dell’ignoranza; e quello sontuoso, tutto milleluci e nostalgia (vedi la strepitosa sigla finale in bianco e nero con Giorgia a emulare la Mina di “Se telefonando”), che ha felicemente occupato Raiuno. E che giocasse a padellate con Djokovic o chiedesse alla Hunziker la traduzione tedesca del “culetto piccolo piccolo” della Merkel, che cantasse un inno di Mameli rap dedicato a Napolitano (“che ha tenuto in piedi la baracca Italia”), o che riproponesse l’irresistibile monologo teatrale sul padre in ansia che va a riprendere la figlia adolescente in discoteca, Fiore ha dimostrato che la vecchia tv è costosa ma imbattibile. E se Garimberti, Lei e Mazza esultano per il risultato, oggi hanno un problema in più: perché Rosario ha dimostrato che i format storici vincono sempre, con la loro abbagliante eleganza, brillantezza e la giocosa qualità della satira. Varietà conformisti, ma così “alti” e ben fatti da apparire rivoluzionari. C’è voglia di “Studio Uno”, di “Canzonissima”, di “Teatro Dieci”. Il guaio è che di Fiorello ce n’è uno, e lui funziona centellinandolo e facendo crescere la fame del suo ritorno. È solo: non ci sono più i Chiari, Lupo, Vianello, Tortora, Bongiorno, e Baudo è a fine corsa. Ma dopo questo show, sarà difficile riabituarsi alla tv spazzatura. Con i lustrini e i colpi di genio, potremmo tornare serenamente anche al monopolio.

FIORELLO, LA TV DELLE LARGHE INTESE

(La Teledipendente di Stefania Carini – Europa Quotidiano) Ed è subito il più grande successo dopo il week end. Scontato, o quasi? Fiorello fa ascolti da capogiro, stravincendo con 9 milioni 796mila spettatori. Dall’altra parte, a vedere il Grande Fratello, erano rimasti solo in 3.887.000. E naturalmente Francesco Facchinetti, che twitterava a più non posso, e seguiva @sarofiorello solo nelle pause pubblicitarie (si sarà beccato l’omaggio ai Pooh?). I destini di una nazione, e anche quelli dello spettacolo, si decidono ormai via cinguettio? Forse. Lo show è stato seguito, oltre dal tradizionale vegliardo pubblico di Raiuno, anche dal pubblico più giovane e da quello più istruito. Fiorello, dunque, riporta sulla rete più generalista proprio il pubblico più disaffezionato. Perché lui è lui, ovvio. Un’artista dalle larghe intese, un tecnico dell’intrattenimento. Certo, c’è anche un effetto Twitter, difficile da misurare in dati concreti. Simbolicamente,@sarofiorello ha portato i giovani che lo seguono su tale social network a seguirlo anche in tv. È la dimostrazione che i new media non sono nemici del piccolo schermo, ma anzi ne sono una potente cassa di risonanza, ne misurano la popolarità trasversale. Perché oggi non c’è un pubblico, ma flussi di spettatori che navigano da più schermi inseguendo una chimera (di qualità), si chiami questa Fiorello o XFactor o Lost. E però, a parte qualche riferimento, frammento, gag già postati da @sarofiorello, Il più grande spettacolo dopo il week end non è stato certo un varietà 2.0. Anzi, è stato classico. Con qualche caduta. Parte così bene, però. Il monologo sull’attualità («ad Arcore ci sono bandane a mezz’asta»), il riuscito mash-up Carosone-Sting, il monologo sugli adolescenti, Julio Iglesias versione opera lirica. Un crescendo, ma è stato l’apice. Perché il resto si è trascinato qua e là un po’ stancamente, a parte l’imitazione della Bruni e di Morgan-Morgano, capelli folli e tono da genio. Certo, alcuni momenti sono così già da archivio Rai, pronti per riempire futuri Da da da. Fiorello è il solo, o quasi, a non sfigurare di fronte alle immagini del passato. Però mettere come sigla finale Giorgia in stile volevo-essere-Mina è stato troppo. Da quando l’ha preso nella sua scuderia, Bibi Ballandi ha cucito addosso a Fiorello un solido one-man-show. Nel classico varietà c’erano comico, presentatore, soubrette, corpo di ballo, cantante, ma Fiorello racchiude in sé tutte queste figure (sì pure quella della Divina, l’attrazione pura che fa da calamita). Dunque, un simile mostro da palcoscenico ha bisogno solo di se stesso, e di essere rifornito di volta in volta di qualche ospite-vittima. Ballandi ha capito questo, e ha fatto la fortuna sua e di Fiorello. Solo che adesso ci vuole uno sforzo in più. Perché gli ospiti non bastano, e pochi risultano all’altezza. Perché la scenografia abnorme risucchia Fiorello, e non permette certe alternanze. Perché la scrittura… No, non quella delle singole gag. Molte ottime, alcune buone, altre meno. È ovvio che sia così. Dopo anni, quello che manca in realtà è una scrittura capace di costruire, attorno all’animale Fiorello, un minimo di canovaccio che, pur non togliendogli il guizzo libero, sappia legare un’esibizione all’altra, in modo che anche quelle meno riuscite abbiano una rete di sicurezza, e tutto fili via omogeneo. È quello che, ad esempio, è stato fatto con lo show di Checco Zalone. Ci vuole un’evoluzione per crescere ancora. E Fiorello è sempre una potenza, pronto per altre sfide.


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