Caro Roberto, la tua Costituzione su Rai1 e' stato il più bel discorso politico degli ultimi 50 anni! Bravo!!! Adriano Celentano
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adrianocelentano (@clancelentano) December 18, 2012
La sua magia? Convincerci che siamo un unico popolo
(di Francesco Piccolo – Corriere della Sera) Benigni comincia con una raffica di battute che gli vengono regalate dall’attualità (e da Berlusconi). La prima parte è allegra, viva; ma è la seconda a essere decisiva, a fare la storia della tv. La formula di Benigni ha una sua unicità, quel cambio morbido di passo, di tono, che porta lo spettatore solitario sul divano, già dentro fatti che lo riguardano come parte di una comunità. Quando parla di Dante, quando spiega il senso delle parole di «Fratelli d’Italia», o quando ieri sera ha raccontato la Costituzione, riesce a rendere al massimo della fruibilità, senza perderci troppo in sostanza, quello che può essere fondamentale raccontare a un Paese, per ricordare il Paese che è: intero, non divisibile, a prescindere dalle divisioni. Benigni si è messo in testa di toccare il midollo della democrazia, soprattutto in questi anni così difficili. Quindi va applaudito per la sua lezione leggera e appassionata sulla Costituzione, sul voto, sulla nascita della Repubblica, perché è una delle poche persone – e ieri sera è stato uno dei pochi momenti – che unisce i pensieri e le vite diverse, che riesce a trovare un punto d’incontro tra un’Italia e un’altra che da molti anni sembrano irrimediabilmente divise, ma che fino a poco prima – l’abbiamo dimenticato – non lo erano. Non solo; tutti insieme, i partecipanti all’Assemblea Costituente, «divisi in tutto ma uniti in una cosa sola»; avevano idee politiche e modi di vivere diversi, ma condividevano «il primato della persona umana». Quella magia che Benigni ha creato ieri sera è figlia di ciò di cui si è voluto occupare: la Costituzione più bella del mondo è stato un atto di civiltà supremo nella sostanza di ciò che è stato scritto, nella sintassi precisa, articolata e inaggirabile di quei comandamenti della vita civile. Ma in questo momento l’insegnamento della Costituzione (e della lettura che ne ha fatto Benigni) sta nella capacità di tante persone diverse di mettersi a cercare con ostinazione regole comuni. Il passaggio dall’irriverenza comica dei primi minuti alla riverenza verso gli italiani e la loro storia, nel cambio di passo della seconda parte, dimostra una volta ancora che la televisione è capace di raccontare a tutti ciò che si teorizza come irraccontabile. Ieri sera, per esempio, ha provato a suggerire agli italiani che sono un popolo solo, più di quanto credano e sappiano (e vogliano).
Il sorpasso
(di Massimo Gramellini – La Stampa) La lezione di educazione civica impartita in tv con la consueta leggerezza da Roberto Benigni ha emozionato e istruito un Paese di maleducati civici che confondono la politica con i maneggi dei politici e non hanno il senso dello Stato perché è lo Stato che fa loro senso. Invece le battute, attese e inevitabili, sul ritorno in campo di Berlusconi avevano un limite: facevano ridere meno di Berlusconi. Non che fossero brutte. Alcune erano davvero gustose: «Ha diviso l’Italia in due: metà contrari e metà disperati». Ma ormai nemmeno un premio Oscar può rivaleggiare con l’originale mentre, sprofondato nel salotto di una sua dépendance televisiva, giustifica le notti allegre di Arcore sciorinando una litania di disgrazie: mia mamma era morta, mia moglie mi aveva lasciato e io ero stanco, solo e abbandonato da tutti… Sembrava John Belushi in «Blues Brothers», quando per giustificarsi con la fidanzata mollata davanti all’altare tira in ballo qualsiasi cosa, persino l’invasione delle cavallette. Per la prima volta nella storia dai tempi di Nerone il politico ha sorpassato l’artista. Una parte di me, non ho ancora capito quale, prova una sorta di reverenza estatica nei confronti del talento impudente di quell’uomo. Ci prende in giro da vent’anni, però con un’inventiva e una compenetrazione nella parte che avevano soltanto le conferenze stampa giovanili di Maradona e i personaggi tragicomici di Vittorio Gassman. Solo che, a differenza degli attori, anche dei più grandi, Berlusconi non fa Berlusconi. Lo è. Peggio: crede fermamente di esserlo.
Benigni: “La Carta è come Woodstock”
(di Alessandra Comazzi – La Stampa) La potenza della comicità e anche della retorica, intesa come arte oratoria volta alla persuasione. E si può persuadere a rompere tutto oppure a costruire, a ricostruire, basandosi su solide basi. Laddove esse esistano. E in «La più bella del mondo», in diretta da Cinecittà su Raiuno, Roberto Benigni, con passione, forza, convinzione, ha ripercorso i dodici principi fondanti della nostra Costituzione. Ha usato parole enfatiche: meraviglioso, terribile, grandioso, memorabile, eccezionale. Ma doveva tenere sveglio il pubblico, doveva avvincerlo con temi cui non è abituato. Ha parlato di lavoro, religione, lingua, (battuta: la Repubblica tutela le minoranze linguistiche: hanno fatto un articolo tutto per Antonio Di Pietro), cultura, paesaggio. Ha difeso, con passione che avvinceva, la politica: «Non vi dico di rispettare la politica. Vi dico di amarla: perché è con la politica che si organizza la nostra vita sociale. Disprezzare la politica è come disprezzare noi stessi». Orgoglio italiano: principi chiari come nella nostra Costituzione non ce ne sono dalle altre parti. E il lavoro? Il dovere di essere retribuiti? Bello, in un momento in cui passa il concetto del lavoro gratuito: «Amare il proprio lavoro è la più concreta forma di felicità sulla terra. La paga non è avere, è essere. E’ la nostra dignità, la nostra vita». La passione e l’emozione non ha fatto trascurare la poesia, la favola, la parabola. Due ore abbondanti senza pubblicità, in un programma ricco di senso, che proprio nella sua prima parte, quella dedicata alla satira su Berlusconi, ha avuto il momento meno rilevante. Due ore abbondanti senza pubblicità. Un piccolo grande miracolo di Natale.
Benigni, solito show. L’ossessione antiCav gli frutta 5,8 milioni
(di Maurizio Caverzan – Il Giornale) «È davvero una serata specialissima. Volevo ringraziare i vertici della Rai per la possibilità di entrare nelle case degli italiani. I quali hanno risposto che non dovevo ringraziare loro, ma una persona che conta molto più di loro, il presidente Napolitano…». E via salendo fino al Papa, a Nostro Signore e «ancora più in alto… Grazie Silvio». L’avvio di Roberto Benigni è abbastanza prevedibile, un filo abusato. Ma il suo ritorno su Rai1 con «La più bella del mondo» non poteva cadere in un momento migliore. L’accelerazione politica degli ultimi giorni gli ha servito su un leggio d’argento lo spartito per una performance scoppiettante tra bilanci delle primarie Pd, ritorni in campo, mezze candidature e una campagna elettorale che per un guitto come lui si trasforma nel paese di Bengodi. «In questo dicembre ci sono due cattive notizie. La fine del mondo tra quattro giorni e poi l’altra notizia…». Pausa con scompiscio. «Mentre c’è tanta gente che non riesce ad andare in pensione ce n’è uno che ci può andare quando vuole, invece no… Si ripresenta per la sesta volta… Sembravamo tranquilli, niente da fare. Ecco “Lo Squalo 6”. La settima volta si riposerà, speriamo… Angelino Alfano l’ha mandato al manicomio. Faccio le primarie, no mi candido, no faccio le primarie… Il povero Angelino è passato direttamente dalle primarie al primario, sta in clinica…». Di Grillo non c’è traccia, Bersani è appena citato. Il bersaglio è unico, il solito Berlusconi. «Ma io gli voglio bene come se fosse normale», maramaldeggia sfiorando l’insulto. Sbertucciato anche Renzi, colpevole guarda caso di essere andato a cena ad Arcore. Qualche frecciata a Monti per le tasse. Ma il Professore indeciso se candidarsi diventa l’alleato per scongiurare la minaccia Berlusconi. A suo agio nello studio circolare in legno color miele, ripreso da 12 telecamere e circondato da 500 spettatori tutti ammessi a invito, Benigni si è lanciato in un lungo parallelo tra il Medioevo e la Seconda Repubblica declinante. In mezzo alla bolgia del Porcellum e alle orge dell’epoca Dante ruppe gli indugi e decise di «fondare il suo partito Per Dante, ovvero il Pd. Non vinse mai», ha chiuso scherzando sul tafazzismo della sinistra. Dopo la cattedra di dantista e quella di storico, ecco Benigni costituzionalista. Gli specialisti storceranno la bocca. Oltre a lui per i 5 milioni e 800mila euro che entreranno nelle casse della Melampo, si fregheranno le mani anche i dirigenti Rai per il sicuro boom di ascolti (su Rai3 è stato messo a riposo anche a Fabio Fazio). Tra educazione civica, letteratura e religiosità, Benigni cita Manzoni e Leopardi. Ondeggia tra poesia e sferzate antiberlusconiane. E paragona la Costituzione ai Comandamenti che «sono pieni di no», mentre «la nostra Carta invita a desiderare, è la legge del desiderio». I padri costituenti, da La Pira a Togliatti a Fanfani a «Giorgio La Malfa» che scalza il padre Ugo, sembrano aver scritto ispirati da qualche canna come i figli dei fiori. Hanno messo insieme la Bibbia e Darwin, come avranno fatto? Poi Benigni plana sui «Principi fondamentali», il lavoro e la guerra. Però, la democrazia e la sovranità popolare sono l’architrave dei primi 12 articoli, sono l’antidoto monarchie e populismi. E si ritorna al nemico di sempre. Ma senza livore, in forma di commedia…
Benigni: showman di sana e robusta…Costituzione
(di Marida Caterini – http://www.maridacaterini.it) E’ tornato Roberto Benigni. E subito sbanca di nuovo l’Auditel. Sono stati 12.619.000 gli spettatori che lo hanno seguito nella sua rilettura della Costituzione italiana. Lo share è stato del 43,93%. Il comico toscano si è fatto portavoce di una grande, drammatica verità: la Costituzione italiana promulgata nel lontano 1948, nel corso degli anni è stata tradita e calpestata ai danni dei cittadini sovrani. Lui l’ha riletta, analizzandone i primi dodici articoli e il telespettatore si è ritrovato a seguirlo, dall’altra parte dello schermo, con simpatia, ma anche con meraviglia e con un immenso, struggente, sentimento di malinconia per tutti i diritti sanciti di cui è stato privato. E’ accaduto lunedì 17 dicembre, su Rai1 in prima serata nel corso del programma evento La più bella del mondo. Il titolo è riferito proprio alla nostra Costituzione. Un prime time completamente differente che è durato due lunghe ore senza nessuna interruzione pubblicitaria. E già questo è un evento. Roberto Benigni ha esordito con un lungo monologo dedicato alla politica e in particolare a Silvio Berlusconi. Per una di quelle singolari coincidenze televisive, l’oggetto della sua satira pungente era presente, in contemporanea su Retequattro, all’interno di Quinta colonna. Il comico toscano è passato lentamente dalla satira politica, legata all’attualità, ad una breve e necessariamente incompleta analisi della nostra storia fino al 1948, quando la Costituzione fu promulgata. Un excursus che ha abbracciato varie tematiche, tra cui la guerra, l’occupazione nazista, la liberazione. Poi è passato alla esegesi, sempre puntuale della Costituzione. Ad ogni articolo che leggeva e analizzava, la sorpresa del pubblico era tangibile. Ognuno di noi si ritrovava a pensare: ma davvero abbiamo tanti diritti? Davvero i padri costituenti si sono preoccupati della nostra salute, della salvaguardia del territorio e dell’ambiente, del lavoro? E se la Costituzione protegge il diritto al lavoro di ognuno di noi, come mai la disoccupazione regna sovrana e i giovani non hanno prospettive di impiego? Benigni, solo con la lettura dei primi dodici articoli della Costituzione ha inchiodato la classe politica alle proprie responsabilità. Un altro esempio? del diritto alla salute, sancito dai padri costituenti, si è fatto scempio. Al punto che oggi regna sovrana la malasanità. Ancora: i padri costituenti hanno scritto esplicitamente che l’Italia ripudia la guerra. Un principio che mal si concilia con tutte le guerre, camuffate da missioni di pace nelle quali sono morti già tanti giovani. Ecco, questo è stato l’aspetto più eclatante e rivoluzionario della serata Benigni: il comico ci ha ricordato che siamo cittadini con diritti che devono essere tutelati e che invece non lo sono. E’ stato retorico? Forse quel tanto che basta per risvegliare i cittadini dal torpore nel quale versano da qualche decennio. Ha parlato con enfasi ed è riuscito a rendere anche più simpatiche le vecchie professoresse di Educazione Civica che insegnano nelle scuole la Costituzione tra l’indifferenza generale. Da oggi i giovani studenti si rivolgeranno a loro con un’attenzione maggiore. Insomma, grazie a questo piccolo uomo che usa la comicità per fini educativi, gli italiani stanno riscoprendo la dignità di sentirsi italiani. E il privilegio di appartenere ad una Patria, unica e indivisibile. Dopo la commovente lettura della Divina Commedia e l’esegesi dell’inno nazionale, il terzo atto della “Benigneide” è stata la riscoperta della Costituzione. Aspettiamo il seguito.
Benigni, meraviglia imperfetta
(di Riccardo Bocca – L’Espresso) C’è un’età, un momento, una fase nella vita di un comico, in cui all’artista non basta più far ridere il pubblico, e neppure farlo piangere come certi satiri bramano per sentirsi completi. No. Arriva il periodo nel quale, chi ne ha capacità morali e professionali, ambisce a incarnare il sogno collettivo, un sentimento pop che li faccia sentire padri e per certi versi padroni delle emozioni pubbliche. Una ventata di autoero(t)ismo da cui decolla, a volte, il desiderio di fondare associazioni, movimenti, attraversare gli Stretti a nuoto, o in alternativa più pantofolaia ergersi a paladini della patria. Ultimo caso, questo, che tocca Roberto Benigni: l’ex genio irregolare che negli anni Settanta interpretava il Mario Cioni di Televacca; il profeta del corpo sciolto, lo strizzatore di accessori all’intera tv nostrana nella persona di Pippo Baudo. E soprattutto, l’incantatore con l’aria magica di chi è venuto dal niente e nel niente un giorno vorrebbe tornare. Immagini antiche e care allo stesso tempo, a ripensarci adesso. Ormai Benigni è un altro, non per forza meglio o peggio di quand’era bimbo satanico: ma un altro. E’ che nel frattempo, a parte il dettaglio dell’Oscar, s’è caricato in braccio segretari di partito, ha scalato montagne ardite come il racconto dei campi di concentramento ne “La vita è bella”, e ha trionfato sul dio Sbadiglio con le letture in piazza de “La divina commedia”. Mancava solo, a questo punto, il viaggio dei viaggi nel cuore dell’italian people: quella, per intendersi, che anche se non ama il calcio piange e festeggia alla vittoria dei mondiali. La stessa folla che sta per ore in fila davanti al Quirinale, quand’è lecito visitarlo, ed esce poi rigenerata dal contatto con le istituzioni. Gente perbene, saggia e paziente come a turno capita a tutti d’essere, e soprattutto pronta ad accogliere la lezione che ieri sera Benigni ha interpretato su Raiuno. Due ore di amore e generosità dedicate a “La più bella del mondo”, che poi sarebbe la Costituzione italiana. Quell’insieme di principi fondanti che all’alba del 1947 scrissero uomini e donne quali Dossetti e Parri, Nilde Iotti e Calamandrei, senza negare un trespolo a Fanfani e tantomeno a Giulio Andreotti, che come ha ovvieggiato Benigni «sta dappertutto, tant’è che l’hanno visto dietro a Mosè scrivere i dieci comandamenti». Una meraviglia assoluta, quei cento e passa articoli costitutivi. Una vertigine che si aspettava con piacere, alle 21.10, pronti ad immergersi nella sana retorica. Invece niente, per la prima mezz’ora. Oltre a pagare il canone di viale Mazzini, i telepronti ad applaudire Parri e compagni hanno patito l’ennesimo -e in questo caso inutile- Silvio Berlusca Show. Un prologo dove, con la scusa dell’attualità politica, Benigni ha battutato a lungo attorno all’ex premier. Spingendoci così a capire perché temiamo il suo ritorno: nel senso che con Priapusconi in scena, affronteremmo ancora mille e mille ore di Benigni, Littizzetto and company riservate alla sua egocrazia e alle squillo-nights. Cronaca ormai giudiziaria: non pane fresco per un mister Oscar, che concedendogli il lustro della prima superserata gli ha ridato centralità e importanza. Ma tanto non c’è niente da fare: mastro Benigni è così. Da un lato il soffio della poesia civile, quando leggendo la Costituzione ha parlato di dignità sociale, supremazia del lavoro, carità verso il prossimo e dolori carcerari. E dall’altro, invece, ciò che resta di un gran comico che prova a rinnovarsi, ma alla fine pesta sul solito tamburo. Un bipolarismo imperfetto, in sintonia peraltro con l’immaturità del Palazzo. Una meraviglia incompleta, ieri sera, non esente dall’astuzia di appoggiarsi a un testo sacro come la Costituzione, fonte a prescindere di rispetto e pensieri buoni. «Domani mattina», ha chiuso con dolcezza Benigni, «dite ai vostri figli di andare a testa alta, dite che abbiano fiducia e speranza». Non ditegli però, altrimenti si confondono, che anche il berluscomane Signorini ha commentato su Twitter: «Immenso Benigni: grazie per questa lezione di Civiltà».