Sebbene l’horror orientale non abbia più la spinta propulsiva di qualche anno fa, di tanto in tanto qualche buon prodotto fa capolino, caparbiamente. Ed è questo il caso di Afterimages, secondo lungometraggio realizzato da un film-maker di Singapore, Tony Kern, il quale aveva avuto un discreto successo col precedente A Month of Hungry Ghosts ed è poi voluto tornare, grazie a un progetto di crowdfunding e crowdsourcing ben pianificato, su quelle tematiche di natura metafisica, ectoplasmatica, che aveva già mostrato di prediligere.
Afterimages al Ravenna Nightmare si è fatto discretamente apprezzare. Quelle che potremmo simpaticamente ribattezzare “storie di fantasmi singaporiani”, sulla falsariga del classico Storie di fantasmi cinesi, corrispondono a una serie di cortometraggi da brivido assemblati tra loro secondo uno stimolante procedimento narrativo: si immagina infatti che alcuni studenti di cinema della piccola nazione asiatica, introdotti a una tradizione molto antica da un loro compagno di etnia cinese, comincino a fare offerte un po’ particolari ai defunti, proprio durante il “Ghost Month”. Prima una macchina fotografica. E a offerta bruciata gli spiriti restituiscono loro, tra la cenere, alcune foto davvero inquietanti. Poi addirittura una videocamera. E in quel caso gli spiriti li ricompensano addirittura con la bobina, contenente un piccolo film dell’orrore!
Quasi superfluo precisare che gli studenti non si fermeranno, anche quando l’operazione comincerà ad apparire più rischiosa, per loro… anzi, l’idea di sfruttare i cortometraggi horror collezionati tramite le offerte per un film collettivo, da presentare all’università, in rete e a festival, si rivelerà, come è anche giusto che sia (il rispetto per i morti non dovrebbe mai venir meno, in situazioni del genere), l’anticamera della loro rovina.
Il corollario più stimolante di questa operazione cinematografica, dai dichiarati intenti meta-linguistici, coincide proprio con la differente natura dei filmati ottenuti dall’interazioni di viventi e defunti: i corti provenienti dall’oltretomba vengono “consegnati” agli studenti, a seconda dell’oggetto precedentemente offerto in sacrificio, con un supporto digitale, in 16 mm o addirittura in VHS. Questo è lo spunto che permette a Tony Kern di giocare non solo con gli stilemi dell’horror orientale, ma anche con i formati, con le tonalità fotografiche, con la natura stessa dell’immagine.
Interessante è anche che i protagonisti dei primi due corti “maledetti” vengano risucchiati dal soprannaturale, per quanto con esiti diversi, dopo averlo scrutato da lontano (nel primo caso attraverso un cannocchiale, nell’altro tramite l’obiettivo di una macchina fotografica) e aver quindi oltrepassato una soglia, che li separava da quella dimensione occulta.
In Estremo Oriente di horror costruiti intorno a una suggestione meta-cinematografica se ne erano già visti diversi, in questi anni. Si pensi ad esempio a Coming Soon di Sopon Sukdapisit (2008) e ad altri prodotti simili, provenienti dalla Thailandia. Questa piccola, curiosa antologia di cortometraggi sinistri e terrificanti realizzata a Singapore conserva, comunque, alcuni tratti peculiari che la rendono centrata, godibile. Peccato soltanto per l’ultimissima parte del film, che, nel tentativo di assemblare le visioni accumulate fino ad allora riconducendole al destino degli sprovveduti ragazzi, torna ad essere troppo convenzionale, producendo inoltre un finale affrettato e un po’ caotico che soddisfa meno delle singole storie da incubo già visionate.