Carne fresca al Ravenna Nightmare! Teste decapitate e conservate nel frigo. Frattaglie tritate. Spezzatino di braccia, gambe e quant’altro. Sangue usato come condimento, neanche fosse ketchup. In poche parole: sono arrivati i cannibali. E ad introdurre l’allegra brigata antropofaga è stato chiamato, per l’occasione, un “aficionado” del festival, il regista e produttore gallese Julian Richards. Di lui a Ravenna abbiamo già visto e apprezzato qualche thriller sanguigno, come Summer Scars (2007) e Shiver (2012), quest’ultimo girato addirittura in America; ma nel caso di Sawney – Flesh of Man, truculento lungometraggio ambientato nelle Higlands scozzesi, lo stesso Richards si è limitato a curarne la produzione. E’ stato alquanto divertente, anzi, ascoltarlo mentre con classico humor britannico sciorinava aneddoti in sala, su chi il film l’ha effettivamente realizzato: ovvero un’intera famiglia di film-makers per raccontare le gesta di una famiglia di cannibali! Tutto made in Scotland, ovviamente.
Tanto per chiarire l’entità (e l’artigianalità) di questa produzione cinematografica a conduzione famigliare, il regista di Sawney – Flesh of Man si chiama Ricky Wood Jr, il direttore della fotografia è Ranald Wood (suo fratello), mentre la sceneggiatura è opera di Richard W. Wood (il padre dei due). Volendoci soffermare un attimo sulle origini della storia, i fatti hanno luogo ai giorni nostri ma si ispirano (neanche troppo alla lontana) a una efferata vicenda semi-leggendaria della tradizione scozzese, quella di Sawney Bean e del suo spietatissimo clan di assassini antropofagi, che avrebbe agito nei pressi di Edimburgo ben quattro secoli fa (e che dovrebbe essere presto protagonista di un prequel, stando alle parole di Richards). Per inquadrare meglio il soggetto in questione, facciamo pure riferimento a Wikipedia: Alexander “Sawney” Bean(e) è stato il capo di un clan di 48 persone della Scozia del XVI secolo, giustiziato per aver commesso un enorme numero di omicidi (fino ad oltre un migliaio) in serie e compiuto atti di cannibalismo sulle sue vittime. La sua storia è riportata sul Newgate Calendar, un registro dei crimini commessi redatto nel carcere di Newgate a Londra. Gli storici tendono a credere che in realtà Sawney Bean non sia mai esistito, ma nel frattempo la storia è diventata leggendaria, e il suo sfruttamento contribuisce a sostenere l’industria del turismo della zona di Edimburgo.
La famiglia Wood si è divertita a immaginare che alcuni discendenti del clan di Bean, dediti naturalmente all’omicidio seriale e all’antropofagia, imperversino ancora nelle Higlands, rapendo vittime ignare (perlopiù giovani donne) con un taxi nero e macellandole poi allegramente nel loro eremo. Il risultato è uno “splatter” non privo di suggestioni, anche e soprattutto a livello ambientale (i paesaggi sono gli stessi del leggendario Highlander – L’ultimo immortale di Russel Mulcahy) ma con uno script che risulta a volte approssimativo nella “detection”, nella dinamica dei rapimenti e nelle motivazioni dei personaggi principali, in particolare quelle del giovane (e inespressivo) giornalista coinvolto nell’indagine. Molto meglio la caratterizzazione della famiglia di mostri, con note di merito per il nanetto fornito di motosega e per l’istrionico autore delle macellazioni, quello poi che, nel giustificare il loro nefando operato con citazioni prese della Bibbia, assicura un tocco di humor, beffardamente anticlericale, alla fosca vicenda. Tutto ciò, a rendere un po’ più sapida la visione di quello che a conti fatti resta, almeno finora, il film più deboluccio del concorso.
Stefano Coccia