Roman è un immigrato rumeno che si trova in Italia da 30 anni. E’ semi-analfabeta e oltre a gestire un piccolo sfasciacarrozze alla periferia di Roma, intrattiene uno spaccio di stupefacenti e amicizie criminali nella malavita rumena. Tutto quello che fa, però, è per sostenere il figlio Nicu e fargli avere la vita che lui non ha potuto vivere. Dall’altra parte, invece, Nicu è restio ad accettare le sue origine rumene, che non confessa neanche alla sua ragazza, e prende consigli di vita da un artista spiantato, il Talebano, che lo farà finire nello stesso mondo criminale dal quale il padre cerca di tenerlo lontano.
Benché la storia non sia delle più originali e i personaggi siano piuttosto stereotipati nell’immaginario collettivo, il film funziona piuttosto bene. Il dramma e la miseria sono resi ancora più vividi dalla scelta fotografica del bianco e nero: un gioco di contrasti e di scuri che rende tutto molto “sporco”, che sia il volto di Roman o la topaia dove abita con il figlio. L’assenza di colori è anche assenza di speranza e di futuro; il nero inghiotte tutto e fa sentire allo spettatore la tristezza e la drammaticità delle atmosfere. Gassmann dà il suo meglio anche nella recitazione e la resa è ottima: l’atteggiamento, la parlata e i gesti richiamano nello spettatore l’immagine stereotipata dell’immigrato. Una volta che il film ci presenta quest’immagine che almeno una volta nella vita tutti abbiamo visto, si spinge oltre e si chiede “perché?”…perché queste persone conducono questa vita? Le aspettative di rivalsa sociale dell’immigrato vengono bruscamente messe a tacere nella nuova terra, dove non trova altro che miseria ed emarginazione; tutto quello che può fare è sperare il meglio per la sua prole.
Il film è comunque molto degno di essere visto, perché è una pellicola italiana che non è la solita commedia per fare due spicci ed è anche particolarmente bella in alcune sfumature, soprattutto per quanto riguarda la regia e la fotografia.