La terra dei sorrisi. Falsi. Questa è la vera Thailandia che i tanti stranieri sedotti da apparenze scintillanti e le prospettive di una vita facile, scoprono velocemente appena conoscono il paese oltre la superficie. Al secolare razzismo culturale endemico, che si è rafforzato come naturale reazione all’invasione di stranieri, si è aggiunta negli ultimi anni una criminalità diffusa e in crescita vertiginosa.
Sicuramente la contaminazione con lo straniero tipico che ha deciso di trasferirsi in Siam ha avuto un fattore rilevante, ma sarebbe estremamente riduttivo sottovalutare l’impatto che la disuguaglianza sociale dovuta a una crescita incontrollata e la diffusione di droghe sintetiche hanno avuto sulla società thai.
La cultura thai
Sia chiaro una volta per tutte: se un thai sorride o vi fa il tipico gesto a mani unite del “wai” è unicamente per due motivi:
1) è a contatto con dei turisti e gli è stato insegnato che è un ottimo sistema per fargli aprire il portafogli
2) è imbarazzato, e ridere o sorridere non è nient’altro che una reazione nervosa
Comunemente alla maggioranza dei popoli asiatici, nelle cultura thai viene fortemente scoraggiata qualunque esibizione pubblica dei propri sentimenti. Anche esternare la propria gioia è per loro segno di debolezza e cattive maniere. Osservateli nelle interazioni tra di loro, quando fanno la spesa o si incrociano ad aspettare un ascensore. Non solo non sorridono mai, ma molto raramente fanno alcun cenno per riconoscere la presenza di un altro essere umano.
Nei confronti dello straniero, non importa il colore della pelle o come sia vestito, il linguaggio del corpo diventa visibilmente più difensivo: teste abbassate per non incrociare lo sguardo, spostamenti laterali a marcare la distanza se qualcuno gli si siede accanto su un mezzo pubblico.
Tutti atteggiamenti che per la cultura occidentale sarebbero considerati maleducati e che però non si possono ridurre a timidezza o alle differenze di etichetta: la verità è che il thai è anche profondamente razzista.
Il razzismo: il farang è fortunato
Se tu, bianco europeo, non ne puoi più di sentirti chiamato farang e indicato con scherno, tanto dalla vecchia sul bus che dal bambino in strada, dalla svogliata cameriera al ristorante o il poliziotto alla dogana che cerca di estorcerti denaro, consolati: tutte le altre razze in Thailandia sono trattate molto peggio.
Da Kaak (riferito a Malay, inclusi i musulmani separatisti del sud del paese, Indiani, e Arabi) ad Aye Murd (i neri, o letteralmente negri, nel senso più dispregiativo), passando per Jek (la cospicua minoranza cinese, che pur mantenendo il potere economico sono stati costretti a nazionalizzare i loro nomi e cognomi), Yuan (vietnamiti), Aye Yun (i giapponesi): indottrinati di ideologia supremazionista sin dalla scuola primaria, come sanno bene gli insegnanti di inglese, i thai hanno il loro nomignolo offensivo per chiunque.
Ma questo è niente, così come fa quasi sorridere sentirli riferirsi normalmente a qualcosa che è stupido come” essere Lao”. Lao, la stessa etnia a cui appartiene non solo la maggioranza del vicino Laos, ma la quasi totalità della gente dell’Isan, la regione più povera del Nord Est del paese, che ha sostenuto l’ascesa politica di Thaksin Sinawatra, esiliato e destituito (dopo di lui è toccato alla sorella) dai recenti colpi di stato.
Perfino i cartelli ufficiali che può leggere in strada chi ha dimestichezza con i ghirigori sanscriti, dove si scrive che i lavoratori emigrati portano malattie e crimine, passano in secondo piano verso le vere vittime di questa società: gli immigrati birmani e cambogiani che spesso patiscono una condizione di vera schiavitù.
In Myanmar da decenni c’è in atto un genocidio delle etnie Karen e Rohingya. I rifugiati arrivano in Thailandia, dove catturati dalla marina in combutta con i trafficanti, il loro destino più probabile è diventare schiavi su pescherecci.
Queste tragedie sono il risultato di oltre 60 anni di dittatura militare, che ha soppresso ogni tentativo di democrazia con un numero record di colpi di stato. Una giunta in combutta con la famiglia reale, che si sono sostenuti a vicenda per mascherare i loro intrallazzi.
Il paradosso reale
All’osservatore occidentale risulta particolarmente inspiegabile l’ossessione divina dei thai per il re, che nulla ha a che fare con la religione buddista, anzi è assolutamente contraria agli insegnamenti del Buddha, nonostante questo è il modo in cui viene più spesso giustificata. Soprattutto è contraddittorio con il loro sciovinismo, visto che l’attuale Re Bhumibol Adulyadej o Phumiphon Adunyadet, conosciuto anche come Rama IX , in carica dal 1946 (!) è nato e cresciuto negli Usa, è stato educato in Svizzera ed è asceso al potere in circostanze oscure, prendendo il posto del fratello ucciso.
Qualcuno, autore di una biografia censurata come molte altre opere sgradite, sostiene sia stato proprio Bhumibol a sparargli, forse accidentalmente, ma non ci sono prove al riguardo e nel 1946 l’opinione pubblica aveva altre priorità.
In ogni caso il re, il sovrano di gran lunga più ricco al mondo, con un patrimonio stimato di 30 miliardi di dollari (al 2° posto il Sultano del Brunei con “solo” 20 miliardi, quindi il Re Saudita con 18) rimane intoccabile e innominabile. In ogni edificio pubblico o casa privata troverete foto sue e della famiglia reale, e guai a non fermarvi in strada quando per omaggiarlo l’inno nazionale viene suonato ogni giorno alle 8 del mattino e alle 6 del pomeriggio.
E l’autore di questo articolo, anche se non ha nessuna intenzione di tornare in Thailandia a breve, non vuol correre il rischio di venire arrestato per un equivoco: lui ama il re, che considera innocente, divino e soprattutto ha un’ espressione così intelligente:
Senza parlare del suo gusto eccellente per i cappelli:
Se non lo ha fatto, invito ora il lettore ad alzarsi in piedi in segno di rispetto, come si fa nei cinema in tutta la Thailandia.
FINE PRIMA PARTE