BEASTS OF THE SOUTHERN WILD (Usa 2012)
Era forse dai tempi di Darren Aronofsky e il suo Pi greco (anche conosciuto come π o Pi – se non l’avete visto rimediate assolutamente) o di Essere John Malkovich, diretto da Spike Jonze (questo invece l’avete visto tutti, vero?), rispettivamente del 1998 e 1999, che il cinema americano non partoriva un esordio cinematografico così incredibilmente originale. Questo è, Re della terra selvaggia, opera prima del giovanissimo (1982) newyorkese Benh Zeitlin: un bel film, ma soprattutto un’opera molto originale, se non, sotto certi aspetti, inedita.
Protagonista è la piccola Hushpuppy, che vive con papà Wink in una comunità semiprimitiva nelle paludi della Louisiana. In questo posto assurdo e malsano l’igiene non esiste, le case sono baracche e tra uomini e animali non c’è poi così tanta differenza. Un inferno? Niente affatto. Perché, piccolo particolare, gli abitanti della “Grande Vasca” vivono un’esistenza decisamente felice. Povera ma felice. Sporca ma felice. Isolata dal resto del mondo ma felice. Sono così soddisfatti, gli uomini delle paludi, che quando, in seguito a un terribile uragano, il governo vorrebbe evacuare la zona, essi si oppongono, cercando in tutti i modi di rimanere aggrappati al posto in cui hanno sempre orgogliosamente vissuto. Per Hushpuppy, orfana di mamma, si tratta di una sorta di passaggio all’età adulta, una lotta per la sopravvivenza e per l’indipendenza che dovrà affrontare da sola, dal momento che anche Wink, collerico e gran bevitore ma terribilmente attaccato alla figlia, è gravemente malato e presto se ne andrà. Ma non prima di averle lasciato in eredità l’insegnamento più importante: i veri selvaggi sono “gli altri”, quelli che vivono nella cosiddetta civiltà e che vanno combattuti con tutte le forze. Il premio è la libertà, la possibilità di poter vivere in un posto dove si fa festa tutti i giorni, dove il cibo non manca mai e dove l’esistenza è forse più vera e gioiosa che in qualunque altro luogo della terra.
A stupire, di questo film, è l’estrema vivacità della messinscena, che unisce con naturalezza realismo e atmosfere oniriche; sono le bellissime musiche, scritte dal regista stesso insieme a Dan Romer; è la straordinaria interpretazione della protagonista Quvenzhané Wallis, la più giovane candidata all’Oscar di tutti i tempi (ha 9 anni); è il coraggio, inusuale per un film “mainstream”, di mostrare così tanta sporcizia, così tanto squallore, così tanti personaggi borderline, così tante cose che la maggior parte di noi non potrebbe che definire schifose. Che tipo di società avrebbero fondato i bambini del Signore delle mosche se alla fine non fossero stati ritrovati? Forse qualcosa di simile a questa orrenda e meravigliosa Grande Vasca.
Alberto Gallo