Reality

Creato il 26 settembre 2012 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Anno: 2012

Distribuzione: 01 Distribution

Durata: 115’

Genere: Drammatico

Nazionalità: Italia

Regia: Matteo Garrone

«Napoli è ancora l’ultima metropoli plebea, l’ultimo grande villaggio (e per di più con tradizioni culturali non strettamente italiane): questo fatto generale e storico livella fisicamente e intellettualmente le classi sociali. La vitalità è sempre fonte di affetto e ingenuità. A Napoli sono pieni di vitalità sia il ragazzo povero che il ragazzo borghese».

Questo stralcio, estratto dalle Lettere luterane (1975), testimonia l’affetto che Pier Paolo Pasolini  nutriva per la metropoli partenopea, considerata l’ultimo grande argine contro quella «mutazione antropologica» degli italiani, già diffusamente denunciata negli Scritti corsari. Gennariello, l’immaginario ragazzo con cui il poeta friulano dialogava, incarnava quel residuo di innocenza e vitalità («gli occhi ridarelli») che nel suo cinema aveva assunto le fattezze di Ninetto Davoli (La sequenza del fiore di carta, 1968). Ebbene, il Luciano (Aniello Arena) di Matteo Garrone, protagonista di Reality, sembra far rivivere il candore, quella dimensione mitica del quotidiano che sempre aveva ispirato l’opera di Pasolini, laddove la mitizzazione della natura (e quindi della vita) comporta «un movimento Pantihegeliano e antidialettico, perché la natura non conosce “i superamenti”. Ogni cosa in essa si giustappone e coesiste».

La prima parte del film, contraddistinta da una coralità assai efficace, rievoca le atmosfere del teatro di Eduardo, con riferimento all’intreccio famigliare viscerale, plateale, magnifico e comico: Garrone, da acuto antropologo quale è, penetra nel tribalismo dei legami parentali, producendosi in virtuosismi tecnici (il planare piano sequenza sulla carrozza trainata dai cavalli bianchi) che suggeriscono il carattere fiabesco della vicenda messa in scena. Luciano/Pinocchio/Gennariello è un pescivendolo solare, sorridente, che, anche quando adotta atteggiamenti anti-sociali (la ‘truffa del robottino’, l’intolleranza per il mendicante), intrattiene con la realtà un rapporto genuino e istintivo, essendo ancora sufficientemente immune dalla cultura della celebrità e del consumo (anche se una certa quota di narcisismo preannuncia i prodromi del malessere di cui sarà vittima).

Particolarmente riuscita è la sequenza, ambientata in un centro commerciale, in cui Luciano, pregato dalle figlie, si sottopone al provino per partecipare al programma televisivo:  la supplica delle bambine nei confronti del padre produce una sensazione molto sgradevole, nella misura in cui si è costretti a registrare l’impossibilità di preservare l’innocenza dell’infanzia dalla colonizzazione dello spettacolo del capitale.

A questo punto inizia il delirio paranoide del protagonista, risucchiato in un processo di derealizzazione che culmina nella sequenza finale, giusto contrappunto che chiude geometricamente il movimento ellittico (non nel senso della sintesi) della narrazione.

Da segnalare, infine, la scena in cui Luciano, in un certo senso, allucina: un grillo (chiara allusione a Collodi) penetra nella sua stanza, destando stupore. Lo sguardo dell’insetto, rivolto in soggettiva al protagonista e allo spettatore, irrompe, spezzando la catena significante, ponendosi come elemento traumatico, come un’immagine che spunta all’improvviso tra le altre, annullandole, e richiedendo imperiosamente attenzione: un lampante esempio di ricaduta idolatrica del prototipo, di immagine falsa, di deiezione maniaco depressiva, che suggella esemplarmente la triste parabola di Pinocchio/Gennariello.

Luca Biscontini

Scritto da Luca Biscontini il set 26 2012. Registrato sotto IN SALA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione

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