In quel palcoscenico traboccante di spettacolo e cattivo gusto che ospita tradizionalmente certi matrimoni meridionali, incontriamo la famiglia di Luciano (Aniello Arena), il protagonista, che fa il pescivendolo, ha una bella moglie e tre figli un po’ rompiscatole, mamma, zie e parenti vari che abitano al piano di sopra della sua casa in un complesso edilizio decisamente fatiscente.
Qui entra in scena anche Enzo, un ragazzotto senza pretese che dopo essere stato al Grande Fratello vive facendo comparsate ai matrimoni e in discoteca.
L’uso della macchina da presa a mano, i colori saturi, la pellicola quasi sgranata, la sovrabbondanza che è nei corpi ed anche negli ambienti conferiscono all’insieme un carattere fiabesco ed irreale fin dal principio. Quello che lo spettatore vive ha i tratti del sogno, o forse sarebbe meglio dire dell’incubo, visto che ambienti e personaggi trasmettono un senso di disagio per lo squallore – paradossalmente simpatico – con cui sono rappresentati.
La rappresentazione di questo micro mondo – per quanto volutamente sopra le righe – è amaramente esilarante perché molti ci troveranno dettagli riconoscibili, esperienze vissute, situazioni non così estranee a certi ambienti culturali e sociali.
Eppure Luciano è un personaggio che ispira simpatia, che fa tenerezza nel suo modo ingenuo ma sincero di affrontare la vita, di vivere il suo mondo. Fino al provino per partecipare al Grande Fratello e il sogno – che diventerà presto ossessione – di entrare nella casa.
È proprio da questo momento che a mio parere il film perde mordente e ritmo, si avvita su stesso, perde credibilità rispetto ad una prima parte che pure non era niente affatto realistica.
Luciano, folgorato sulla via di Damasco (in questo caso su quella per Cinecittà), coltiva una fede pagana nella possibilità di entrare in quel paradiso che è la casa del GF, ed è convinto che ogni sua azione sia controllata di nascosto e tenuta in conto ai fini della selezione, al punto tale che diventerà benefattore di barboni e derelitti.
Lo sguardo trasognato di Arena in questa seconda parte del film risulta alla fine stucchevole, così come un contorno umano di cui poco a poco perdiamo le coordinate fino a renderne difficile la comprensione e l'interpretazione. L’unica figura che resta compatta nella sua personalità fino alla fine è la moglie Maria (splendidamente interpretata da Loredana Simioli)
Garrone, muovendosi tra la commedia di costume di De Filippo e la critica di una società contemporanea obnubilata dal mito della celebrità e della ricchezza, un po’ si smarrisce, pur regalandoci un’opera cinematografica coraggiosa e fuori dagli schemi.
Un’ultima domanda: io e le persone con cui sono andata a vedere il film ci siamo “intrippati” sulla truffa del robottino, ma quando abbiamo cercato di ricostruire come funzionava questa abbiamo realizzato che non l’avevamo capito o forse il regista l’ha resa volutamente ambigua.
Chi me lo spiega? ;-)
Voto: 3,5/5