Reality

Creato il 23 ottobre 2012 da Af68 @AntonioFalcone1

Napoli. Il trentenne Luciano Ciotola (Aniello Arena), sposato con Maria (Loredana Simioli), tre figli, gestisce una pescheria insieme al cugino Michele (Nando Paone), “arrotondando” le entrate con un sistema di truffe avente come oggetto un “robottino” per la cucina. Invitato insieme ai suoi numerosi parenti ad un matrimonio, il nostro resterà ammaliato dalla performance di tale Enzo (Raffaele Ferrante), reduce dai fasti televisivi del Grande Fratello, tanto da partecipare ad un provino del programma presso un centro commerciale per poi recarsi a Roma, presso gli studi di Cinecittà, così da prendere parte alle selezioni ufficiali. Ma il “ti faremo sapere” rivolto ad un Luciano sempre più invasato s’ammanterà di risvolti piuttosto inquietanti …

Aniello Arena

Diretto da Matteo Garrone, tra gli autori della sceneggiatura (insieme a Massimo Braucci, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso), Reality, meritato Gran Prix della Giuria al 65mo Festival di Cannes, sembra allontanarsi dallo stile documentaristico del precedente Gomorra, per abbracciare i toni della commedia (quella “all’italiana”, sempre viva nei ricordi degli uomini di buona volontà), in particolare nel riuscito tratteggio dei protagonisti (Arena su tutti, perfetto insieme di candore e follia) e nella descrizione di ambienti e situazioni, riuscendo a mediare, con sapida efficacia, tra grottesco ed onirico. Grazie ad un taglio registico esemplare e ad una scrittura particolarmente serrata, appare comunque evidente una forte connotazione realista, che assume man mano il sapore e la consistenza di una valida analisi antropologica.

Loredana Simioli

Garrone, almeno secondo la mia interpretazione, non vuole propriamente esternare una facile critica al noto format televisivo o al mondo del reality show in generale, costituendo questi ultimi, più che il simbolo, il sintomo pulsante di una spersonalizzazione della società in ogni suo livello, anche nei ceti più bassi, proprio dove il valore della tradizione e il suo rispetto potevano ancora vantare qualche assunto caratterizzante, con la religione divenuta anch’essa un rituale falsamente unitivo: è la “grande omologazione”, citando Pasolini, ottenuta in nome di una falsa eguaglianza, che non tiene conto della diversità del singolo, ma si regge sullo squallore spettacolarizzato come nuova virtù (il matrimonio celebrato in serie, assurda catena di montaggio, ad inizio film), alla pari dell’apparenza standardizzata (i tristi, ripetitivi, rituali di Enzo ad ogni comparsata), creando tante “non persone” prigioniere in tanti “non luoghi”.

Nando Paone

E’ la macchina da presa qui a farsi “Grande Fratello”, finalmente nell’originario significato orwelliano, scende letteralmente dal cielo inseguendo una carrozza dorata trainata da cavalli bianchi, che conduce una coppia di sposi in un residence – palcoscenico, per poi scandagliare i quartieri di Napoli e l’abitazione di Luciano, seguendolo passo passo (spesso portata a mano) nella vita di ogni giorno, al lavoro, con minimi movimenti e primi piani folgoranti, come quando ne accompagna il primo segnale straniante della sua mente, la folgorazione che dopo il provino a Cinecittà il meccanismo dello spettacolo televisivo si sia messo in moto, ormai certo d’essere sotto osservazione in attesa della chiamata definitiva, tanto da indurlo a vendere la pescheria e mettere in atto una serie di “buone azioni”.

E’ sempre lei, la mdp, infine, a divenire parte attiva, per poi ritirarsi, nell’onirica sequenza finale, volta, in un estremo simbolismo, a raffigurare la necessità dell’uomo di crearsi una realtà alternativa, un paradiso sulla terra ad uso e consumo delle proprie miserie, nirvana etereo capace d’annullare una qualsiasi affermazione della propria individualità, solipsismo compensativo della rinuncia al mondo reale: Luciano è ora entrato nella nota casa ricreata in studio, ingenuo Pinocchio adagiato sulla poltrona, sogghignante soddisfatto del suo “posto al sole”, destinato a restare nient’altro che un burattino manovrato dall’esternazione del proprio immaginario, una reale irrealtà.


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