Aniello Arena
Diretto da Matteo Garrone, tra gli autori della sceneggiatura (insieme a Massimo Braucci, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso), Reality, meritato Gran Prix della Giuria al 65mo Festival di Cannes, sembra allontanarsi dallo stile documentaristico del precedente Gomorra, per abbracciare i toni della commedia (quella “all’italiana”, sempre viva nei ricordi degli uomini di buona volontà), in particolare nel riuscito tratteggio dei protagonisti (Arena su tutti, perfetto insieme di candore e follia) e nella descrizione di ambienti e situazioni, riuscendo a mediare, con sapida efficacia, tra grottesco ed onirico. Grazie ad un taglio registico esemplare e ad una scrittura particolarmente serrata, appare comunque evidente una forte connotazione realista, che assume man mano il sapore e la consistenza di una valida analisi antropologica.Loredana Simioli
Garrone, almeno secondo la mia interpretazione, non vuole propriamente esternare una facile critica al noto format televisivo o al mondo del reality show in generale, costituendo questi ultimi, più che il simbolo, il sintomo pulsante di una spersonalizzazione della società in ogni suo livello, anche nei ceti più bassi, proprio dove il valore della tradizione e il suo rispetto potevano ancora vantare qualche assunto caratterizzante, con la religione divenuta anch’essa un rituale falsamente unitivo: è la “grande omologazione”, citando Pasolini, ottenuta in nome di una falsa eguaglianza, che non tiene conto della diversità del singolo, ma si regge sullo squallore spettacolarizzato come nuova virtù (il matrimonio celebrato in serie, assurda catena di montaggio, ad inizio film), alla pari dell’apparenza standardizzata (i tristi, ripetitivi, rituali di Enzo ad ogni comparsata), creando tante “non persone” prigioniere in tanti “non luoghi”.Nando Paone
E’ la macchina da presa qui a farsi “Grande Fratello”, finalmente nell’originario significato orwelliano, scende letteralmente dal cielo inseguendo una carrozza dorata trainata da cavalli bianchi, che conduce una coppia di sposi in un residence – palcoscenico, per poi scandagliare i quartieri di Napoli e l’abitazione di Luciano, seguendolo passo passo (spesso portata a mano) nella vita di ogni giorno, al lavoro, con minimi movimenti e primi piani folgoranti, come quando ne accompagna il primo segnale straniante della sua mente, la folgorazione che dopo il provino a Cinecittà il meccanismo dello spettacolo televisivo si sia messo in moto, ormai certo d’essere sotto osservazione in attesa della chiamata definitiva, tanto da indurlo a vendere la pescheria e mettere in atto una serie di “buone azioni”.